martedì 29 marzo 2016

Scrittura nuragica. Tharros (Murru Mannu): a tanta architettura sacra tanta scrittura sacra. La Porta Santa (sha‘ar sa‘an) e i segni del sublime nascosto.

di Gigi Sanna                              

                               Fig.1                                                                                         Fig. 1 (particolare)
      
A tanta architettura sacra (1) non poteva che corrispondere una altrettanto grande scrittura monumentale. Io non so decidermi se pensare che il toponimo Murru Mannu derivi da ‘muro grande, grosso, imponente’ oppure, come suggerisce anche Sandro Angei (2), dal ‘murru’ (muso) del toro raffigurato nella grande pietra del muraglione alla destra della cosiddetta ‘postierla’ (3). Sta di fatto che gli abitanti di Cabras dicono concordemente ‘murru mannu’ e non ‘muru mannu’. Ma forse, come spesso succede, la vertià sta nel mezzo e entrambi sono giusti. E diremo più avanti perché.
  Scrittura ‘monumentale’ dicevamo, perché quella struttura imponente che si è stabilito scientificamente  essere organica alla porta solare che si carica di senso nei mesi di Aprile e di Agosto (ciclo del grano), reca in iconografia e sequenza fonetica una delle espressioni più grandiose e fantasiose degli scribi architetti  della Sardegna di tutto il periodo cosiddetto nuragico. In quel muraglione con intenti aspettuali, non a caso, bicromatici (4), i nuragici hanno scritto, sempre con le stesse inamovibili regole del codice ma pur  sempre innovando, delle parole che costituiscono l’inno millenario continuo alla divinità della luce taurina immortale; quella luce di yh venerata da quando delle popolazioni di religione cananaica, alla fine della prima metà del secondo Millennio a.C., vennero per la prima volta in Sardegna portando scrittura e ‘religio’ assieme.
   Prima però di parlare di essa sarà bene ricordare quanto di monumentale scritto già possediamo lungo tutta la costa del Sinis di Cabras che, in questi ultimi anni, anche a motivo di imponenti mareggiate (5), ci ha restituito una documentazione di scrittura davvero incredibile e talmente interconnessa da non lasciare adito a dubbi che i nuragici sino alla fine della loro presenza storica usarono con maestria il loro antico codice di scrittura basato sulla loxoths (λοξότης)  e sul mix e su quei requisiti (6) che così numerose volte abbiamo fatto vedere nell’illustrare, anni dopo anni, i documenti che via via venivano alla luce in tutte o quasi tutte le parti della Sardegna (7).

Fig. 2 

Fig 3                                                                             Fig 4  
Già con il nostro articolo (8) sulla scritta della cosiddetta ‘Sala da ballo’ di San Giovanni del Sinis, scritta organica all’evento astronomico legato agli equinozi e ai solstizi assieme (9), avevamo fatto notare che i significanti presenti nella parete di quello che forse era ‘anche e soprattutto’ un edificio templare(10), tendevano ad offrire il significato  dell’inno dedicato al  ‘vivificante (hy) toro luminoso immortale’.
La conferma della scrittura legata all’astronomia, ovvero all’evento dei momenti calendariali del sole, si era avuta con la ormai nota immagine della scogliera di Punta Maymoni di Cabras, scultura  che solo qualche epigrafista sprovveduto o qualche negazionista ad oltranza avevano cercato di ricondurre al passato prossimo come realizzazione recente e non antica o antichissima. L’articolo di Sandro Angei con il rilievo scientifico (11)  dell’evento equinoziale riferibile alla piccola scultura (v. fig. 5)  e con l’esatta lettura  della scritta incisa sulla parte destra della parete del piccolo vano naturale (v. fig. 6)  hanno consentito di capire che sia l’iconografia della Sala da ballo sia quella di Punta Maymoni erano  attinenti alla stessa ‘religio’ e alla stessa divinità solare.  Forse risalenti allo stesso periodo o a periodi molto vicini (12) 
                               
Fig. 5                                                                                               Fig. 6
        
Dalle due testimonianze astronomico - epigrafiche  si è potuto comprendere:
- che le immagini sono manifestamente taurine e relative ad una divinità luminosa  
- che sono orientate verso gli equinozi
- che c’è sempre una scrittura, quasi una didascalia più o meno nascosta, che le accompagna costituendo una specie di ‘explicatio’.
- che la scrittura è quella la solita nuragica, cioè  ‘a rebus’ e in ‘mix’.
    Si aggiunga, a proposito dell’orientamento astronomico, la bella scultura dello scarabeo (13) di Sa Rocca Tunda, sempre nella costa del Sinis, orientato perfettamente agli equinozi (fig.7 e fig. 8)         
                                    Fig. 7                                                                          Fig.8
   
 Ritorniamo ora al grosso muro di Murru Mannu. Esso sembrerebbe del tutto  anepigrafico se non fosse che in una linea ideale, congiungente i conci di colore chiaro e la porta astrale del ciclo del grano, si trovasse sulla destra un’ icona particolare, una testa umana e taurina assieme che tende in qualche modo a richiamare le due teste e della Sala da ballo e di Punta Maymoni. Certamente più quest’ultima, come si può vedere dalle figure 9.1 - 9.2.-  9.3  seguenti.
Fig. 9

      Risulta chiaro che le tre immagini sono accomunate non solo per il suddetto orientamento astronomico  ma anche per alcuni particolari raffigurati  nelle singole teste. Infatti, l’occhio in rilievo si nota sia nella fig. 9.1 che nella fig. 9.3; la bocca aperta taurina, di toro muggente (14), si trova identica o quasi in 9.1 e 9.3 e simile in 9.2. Quindi si può affermare in tutta tranquillità  che le tre figure, orientate tutte verso gli equinozi, non denunciano solo quell’orientamento ma anche chi esso riguardi ovvero il toro astrale.
       Ma procedendo ad un’analisi comparativa completa, quello che c’è di significativamente analogo sia in Sala da ballo e sia in Maimoni è che le teste e gli orientamenti sono accompagnati dalla scrittura mentre in Murru Mannu questa scrittura, a prima vista almeno, non sembra comparire. In realtà essa c’è ma è tanto nascosta alla vista, così sapientemente criptata (forse sarebbe bene dire mimetizzata),  che forse anche nell’antichità solo un occhio abituato ed esperto, consapevole dei numerosi e fantasiosi espedienti a cui ricorrevano gli scribi per scrivere disegnando (e scolpendo),  era in grado di riconoscerla prontamente (15).    Non solo essa c’è ma è, tra le tre (quattro con lo scarabeo di Sa rocca tunda), certamente la più ardita e spettacolare per grandiosità; forse,  quanto a magnificenza, un unicum in tutta la Sardegna come vedremo ora prendendo in considerazione tutta la ‘facciata’ del ‘grande muro’ che ha come ‘segno’, come raffigurazione sacra fondamentale, aspetto che  si è visto dal saggio citato di Angei, la straordinaria porta del ciclo del grano.

Trascriviamo ora tutti (16) gli elementi ‘segnici’ in pietra, chiara e non,  presenti nella linea immaginaria della parte bassa del muro di cui si è detto: 




Si noterà che il muraglione riporta una sequenza formata da sette conci sub quadrati + una porta + un ottavo concio perfettamente quadrato + una testa. Riporta cioè un numero (sette) e tre ideogrammi (porta, concio quadrato, testa) dei quali ultimi il secondo con il (consueto) valore in nuragico di ‘forza, potenza’. Ora se noi procediamo a rendere l’acrofonia, in lingua semitica, degli ideogrammi Š‘R ( שער )   Z  (עז), Reš (ראש) noteremo che essi rendono lo stesso nome dell’ideogramma più importante di tutti e cioè la porta; Š ‘R (שער). Se noi aggiungiamo il numero ‘sette’ avremo la lettura di ‘SANTA PORTA’.  
  Detta  lettura però non si ferma all’espressione S’AN Š ‘R perché essa tende a  completarsi nascostamente più avanti, nei particolari della raffigurazione della testa che sono: il berretto (in semitico hdrh הדרה), l’occhio taurino, il piccolo serpente tracciato nella guancia ed infine il muso taurino atteggiato chiaramente al muggito. Anche qui bisognerà stare molto attenti alla individuazione dei valori ideografici e acrofonici che rendono nascostamente il senso. Innanzitutto si noti il copricapo che, posto in alto, va letto per primo. Esso nota la  ‘hē’ che costituisce il solito (17) pronome per indicare la divinità vale a dire Lui/Lei, l’androgino yh. Quindi viene l’occhio che ha valore ideografico e sta per un’intera parola (valore ideografico logografico) e cioè ‘occhio, luce’. Dopo di esso abbiamo il serpentello che ha valore di nachash נחש ma anche, come di consueto, di ‘immortalità’ (‘wlm עולם). Dopo il serpentello troviamo infine il muso (murru in sardo) del toro muggente. ‘Segno’  preciso preciso questo, come si è visto, a quello del muso del toro di Maymoni.  
   Aggiungendo d’obbligo la lettura di ‘testa’ (r’ash ראש) sarà quindi : Testa di Lui (hē) della Luce immortale toro muggente’ che naturalmente si rende meglio così: Testa di Lui (la divinità yh) toro muggente della luce immortale. Ma se riportiamo anche la precedente espressione, corrente per tutto il muraglione, avremo: Santa Porta . Testa di Lui (yh)  toro muggente della luce immortale
   Abbiamo detto però, poco sopra, che la lettura ‘sembra’ completarsi perché in realtà essa si realizza completamente solo con la lettura (cosa d’obbligo in nuragico), del supporto che ovviamente è il muraglione o MURU  MANNU che lo si voglia chiamare in lingua sarda (18). Quindi la lettura definitiva si basa su due sequenze o livelli  grafici:
1)      Il ‘muru mannu’ con la ‘santa porta
2)      La testa con la scritta ‘Testa di Lui toro muggente della luce immortale’.
 Ragion per cui la nostra interpretazione - traduzione sarà composta dalle due seguenti  espressioni:
1)      Santa Porta del Grande Muro.
2)      Testa  di Lui toro muggente della luce (che dà la luce) immortale 

    Dette  espressioni ( più o meno ‘definitive’),  erano già note a Sandro Angei che le aveva (come dice egli stesso all’inizio del suo saggio) apprese durante una delle lezioni del nostro  ultimo corso di epigrafia  (19). Sono state state quindi all’origine della sua curiosità; tanto  che lo hanno indotto a fare una vera e propria verifica, con uno studio specifico su quella porta singolare e sul muraglione dal punto di vista dell’orientamento astronomico e del dato architettonico. Perché risultava chiaro agli occhi dei corsisti e non solo forse ai suoi  che se quella porta era davvero santa e celebrava yh il toro celeste, anche dal punto di vista architettonico e dell’orientamento astrale si sarebbe dovuta avere una analoga straordinaria e spettacolare risposta . Un caso emblematico questo (non possiamo fare a meno di sottolinearlo)  di bravura di un discente zelante che non si ferma al primo dato epigrafico per quanto ‘logicamente’ credibile (non fosse per altro per la stessa interpretazione, paleografica e archeoastronomica assieme, della raffigurazione di Maymoni) ma lo rafforza attraverso il contributo di un’altra disciplina ancora, basata stavolta su dati empirici di misurazioni (ed eventi in seguito ad essi) difficilmente contestabili. Cioè attraverso una disciplina - diciamo così - più ‘oggettiva’ e scientifica e per questo più credibile dell’altra, soggetta talvolta, come si sa, al rischio del giudizio dell’aleatorietà.    
    Ora, noi ci troviamo a parlare in questo articolo come se il nostro pronunciamento epigrafico e il percorso ermeneutico fosse il secondo. In realtà è stato il primo e la conferma scientifica della ‘santità’ di quella porta viene dallo studio di Angei e non viceversa In ogni caso, i due approcci alla problematica dell’interpretazione tendono ad integrarsi perfettamente tanto che si può dire che il significato completo della scrittura monumentale di Murru Mannu ne esce rafforzato perché solo con entrambi si afferra la totalità del messaggio scritto. Infatti, senza la spiegazione del significato interno della porta (l’altra parte del muraglione)  con la scritta del triangolo solare non si sarebbe capito ‘il perché’ di quella porta santa legata all’evento del ‘ciclo del grano’ e senza la spiegazione epigrafica non si sarebbe potuto comprendere sia quella santità celebrata  con la scrittura (il nome sh‘ar)  sia ‘chi’, quale divinità glorificata (ovvero Lui yh toro muggente)  era titolare di quel magnifico ingresso.    
  Pertanto, come altre volte si è detto per altri monumenti (20), forse mai come in questo caso, l’epigrafia, l’archeologia e l’archeostranomia si danno una mano e riescono a farci capire, con buona precisione, aspetti della ‘religio’ dei Sardi antichi, altrimenti soggetti ad elucubrazioni, ovvero ad interpretazioni del tutto arbitrarie anche se ammantate, talvolta, di spocchiosa autorevolezza ‘scientifica’ . Si pensi ora, stando così le cose, all’errore colossale commesso (e trasmesso per decenni!) dagli archeologi nell’aver interpretato quella porta sacra e quel muraglione, ovviamente sacro anch’esso, come postierla l’una e muro di fortificazione e di difesa l’altro. Un’opera raffinata così sublime , costruita per essere tale in quanto legata al culto della divinità che si manifesta con la forza della luce degli astri, presa per semplice architettura militare! E’ lo stesso preciso errore interpretativo che rende ciechi, quasi folli per pregiudizio, nell’interpretare opere di natura bellica quelle che invece sono sofisticate costruzioni architettoniche religiose astrali e calendariali come, ad esempio, il Nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu o il Nuraghe Zuras di Abbasanta. 
   Naturalmente, se vogliamo accrescere ancora di più il valore compositivo di quella costruzione sacra, quanto essa fosse sofisticata e ben realizzata nel mistero dagli scribi architetti, potremo ribadire e far notare che la scrittura è davvero a tutto campo, che ‘tutta’ quella costruzione è scritta, che esiste proprio perché si manifesta con i segni sacri o geroglifici che vogliamo chiamarli. E non solo nella parte esterna del muraglione ma anche in quella interna. C’è una scrittura pensata e realizzata con i segni dell’uomo  che compare per prima, nella facciata esterna, oscura ma in qualche modo leggibile, e c’è una scrittura interna, ancora più nascosta e misteriosa, realizzata con gli strumenti dell’uomo ma con i segni del dio, che compare dopo e non sempre. Infatti, solo in determinati giorni dell’anno il triangolo luminoso divino taurino si manifesta, e solo in quelli la scrittura per ideografia geometrica sintetica, espressa con un solo segno pregnante, coincide per senso con la scrittura esterna fatta analiticamente attraverso la numerologia, l’ideografia e l’acrofonia. Resa cioè con i consueti requisiti usati ormai dai nuragici da oltre un millennio (21).


L’espressione linguistica monumentale di Murru Mannu che abbiamo individuato, per quanto straordinaria,  non è però da ritenersi quanto a contenuto unica e non ripetuta dalla scuola scribale di Tharros o di Monte ‘e Prama. Infatti, essa viene riproposta, come sanno coloro che da tempo ci seguono, nella stessa forma o in forme più o meno accorciate o variate, sia in luoghi vicinissimi al muraglione sia in luoghi più lontani come sono quelli della Sala da Ballo di San Giovanni  e di Maymoni. Ci sono nella costa del Sinis, molto vicine e un po’ più lontane, altre non poche ‘porte sante’ (22) realizzate e scritte che vanno analizzate meglio e poste a confronto serrato con quella del ‘Muru mannu’di Tharros; perché tutte assieme sia dal punto di vista archeoastronomico che epigrafico tendono a spiegarsi reciprocamente tanto da rendere, per il concorrere delle prove, esplicita e chiara (si direbbe una volta per tutte) la millenaria  ‘religio’ astrale ‘cananaica’ di fondo del popolo nuragico. Chiara anche e soprattutto nel momento in cui essa stava per avviarsi, per fatti storici drammatici e per l’affermarsi poi di una nuova religione, al lento ma inesorabile declino. Ma di questo parleremo tra qualche settimana.

                                                       Note e riferimenti bibliografici 
     1) Quella descritta e illustrata in questi ultimi mesi  nei sette post  a puntate da Sandro Angei .
2) http://maimoniblog.blogspot.it/2016/02/sincretismo-religioso-tra-nuragico-e.html
3) E’ proprio detta ‘postierla’ (altro termine militare senza senso alcuno) che garantisce (insieme ai dati epigrafici qui esposti), con la sua curiosa realizzazione, della sacralità della costruzione in funzione specifica  astronomica. 
4) L’uso della bicromia bianco - nero è d’uso assai comune nel nuragico. Essa però spesso non nota il ‘decorativo’ ma il simbolico e il  religioso. E’, forse spesso, anche aspetto di scrittura nascosta come si vedrà più avanti nel nostro specifico caso. Come esempio di bicromia, tra i tanti esempi che si potrebbero fare,  si ricordino, in particolare, il Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, il  Nurdole di Orani e il Nuracale di Scano Montiferro.      
5) In questi ultimi anni, a partire dal 2011, la costa del Sinis di Cabras sotto Capo San Marco e quella della grande spiaggia di Sacqua ‘e s’ollastu di Pistis presso Capo Frasca sono state interessate da fortissime mareggiate invernali che hanno asportato tantissima della sabbia da sempre conosciuta e messo a nudo scogli e tratti di scogliere prima invisibili. Il fenomeno ha riguardato in alcuni punti  un abbassamento del lido sabbioso di oltre tre metri.   
6) http://gianfrancopintore.blogspot.it/2011/11/scrittura-nuragica-ecco-il-sistema.html
7) http://maimoniblog.blogspot.it/2016/03/breve-nota-informativa-con-alcuni.html
8) http://monteprama.blogspot.it/2014/06/shaar-ha-baal-di-san-giovanni-del-sinis.html
9) Ibidem.
10) Un tempio a cielo aperto dove si celebrava l’evento dell’ingresso (sha’ar) del sole durante l’equinozio di primavera e successivamente tutti gli altri. L’uso della vasta ‘sala’- porta naturale solare per sfruttamento della cava e lo stesso impeto del mare per 2400 anni e più hanno modificato l’ambiente ma, per fortuna, non cancellato la scritta della parete dove insiste, ben visibile ancora oggi,  lo ‘spigolo’ completo  d’orientamento astronomico. 
11) http://maimoniblog.blogspot.it/2015/04/il-volto-di-maymoni.html
12) Le due sculture di orientamento astronomico equinoziale forse sono, dai dati epigrafici (tipologia di alcune lettere romane recenti nel mix scrittorio), riconducibili al IV – III secolo a.C. In quanto tali appartengono alla fase tarda della ‘religio’ e della scrittura nuragica. Fase che, stando alla documentazione epigrafica ultimamente emersa, non fu di breve durata in quanto si protrasse, con ogni probabilità,  in periodo imperiale romano sino al II - III secolo d.C. Vedi per l’assunto  http://maimoniblog.blogspot.it/2016/01/antiquarium-arborense-di-oristano-la.html
13) I tre ‘cartigli’ egizi che il mare di recente ha reso manifesti nella scogliera di San Giovanni, il numero elevato di scarabei in scrittura egizia oppure in mix sardo  - egizio,  realizzati dagli scribi sardi, l’ultimo scarabeo (v. in part. Atropa Belladonna, 2012, Lo scarabeo di S’arcu ‘e is forros; in Monte Prama Blogspot.com, 27 Ottobre) trovato in S’Arcu ‘e is forros di Villagarnde  Strisaili , luogo che ha restituito non pochi reperti epigrafici tutti riconducibili al nuragico, consentono di affermare, anche escludendo il contesto astronomico solare in cui si trova lo scarabeo di Sa rocca tunda, che la scultura è autentica e antichissima. Infatti, si è detto che la scrittura accompagna le piccole ma significative sculture di Maymoni, della Sala da Ballo di San Giovanni e. come si vedrà nel proseguo di questo articolo, di Murru Mannu. E scrittura accompagna anche lo scarabeo in quanto, come gli egittologi sanno e bene, lo scarabeo non è segno solo simbolico (simbolo del sole) ma è anche segno fonetico è significa ‘nascere, venire alla luce’. Anzi il valore più accreditato è quello di ‘nascere per avviarsi  ad una crescita, ad uno sviluppo organico’. Proprio come quello del Sole nell’ingresso del solstizio primaverile che sorge il 21 aprile e tramontando si avvia al suo ciclo di albe e tramonti, alla crescita immortale che lo porterà alla morte e alla rinascita assieme.  Pertanto, secondo il modo costante di scrivere degli egiziani (modo che ovviamente qui copiano gli scribi nuragici) che realizzano forma (disegno), simbolo e contemporaneamente suono, prendendo come ovvio elemento di scrittura anche il sole (si veda bene la foto di Stefano Sanna con la direzione precisa del sole) si dovrà tradurre l’immagine pittografica calendariale terra –cielo con ‘ avviati alla crescita, allo sviluppo, o Sole oppure in modo più prosaico  direzione (punto astronomico) della porta di crescita del sole’. Del resto, si capisce che lo scarabeo spinge e rotola la pallina  vivificante per permettere allo stesso sole la nascita di tanti piccoli scarabei ‘sole’ che all’infinito, da adulti, spingeranno quella sfera, perpetuando così l’esistenza della luce e del mondo. La forte simbologia dello scarabeo stercorario sacro (KHEPER)  non va disgiunta da quella della umilissima ma altrettanto sacra pallina. In Sa rocca tunda manca ovviamente la pallina disegnata sul terreno semplicemente  perché il sacro disegno perfetto dello scarabeo,  che spinge per la nascita e lo sviluppo solare,  si manifesta e si completa ‘concretamente’  solo in quella data equinoziale (di primavera o d’autunno).  
14) Il toro muggente è ovviamente  metafora scultorea  per dire  ‘giovane toro ardente e focoso’ che rende in primavera feconda la terra con la sua forza virile. La presenza dell’acqua nel toponimo  Maymoni (maym) e lo stesso orientamento calendariale (anche se non preciso)  induce a ritenere che il muggito alluda anche in Murru Mannu all’invocazione del liquido fecondante senza il quale il grano (e la natura in genere) non può essere rigoglioso. 
15) Si osservi, per rendersi conto di questo chiaro proposito di occultamento, che l’unica ‘lettera’ che poteva in qualche modo essere individuata, ovvero la ‘resh’ (testa),  è scolpita non nella pietra chiara, come sarebbe stato d’obbligo nella sequenza segnica, ma nella pietra scura, quella basaltica che fa da sfondo (o ‘pagina’ vera e propria) per il ‘testo’ monumentale. Solo chi scopre quella testa (con la sua particolare conformazione) e si chiede il perché di essa  può arrivare in qualche modo a decifrare il motivo di quella ‘decorazione’ in bicromia. E può mettere quindi in relazione di senso la porta e la testa umana e taurina assieme.    
16) ‘Tutti’ nella parte (bassa), oggi integralmente salvatasi della costruzione. Essendoci nella parte alta di essa alcuni conci chiari non siamo ovviamente in grado di stabilire se anche essi, uniti ad altri, facessero parte della ‘scritta’. Essendo quest’ultima ‘organica’ preferiamo ritenere che i conci ( per altro non allineati) facessero parte come ‘cornice’ superiore del muro. Un motivo decorativo, insomma.  
17) ‘Solito’ perché nei bronzetti nuragici l’hdrh (che rende acrofonicamente il pronome ‘hē’) è quasi d’obbligo (lo vedremo ad abundantiam in prossime pubblicazioni)  e viene raffigurato anche quando non ha senso alcuno, come ad es. nel bronzetto del personaggio che, tutto nudo e a membro eretto ma a berretta, suona il flauto a tre canne (le ‘launeddas’). V.  Lilliu, 2008, Sculture della Sardegna nuragica (ristampa ed. 1966, con saggio introduttivo di A. Moravetti), pp. 377 - 380, fig. 183.  
18) Non è improbabile quindi che all’origine il toponimo fosse proprio ‘muru mannu’ in seguito però alterato in ‘murru’ per la presenza del muso grande e assai pronunciato dello ‘strano’ antropomorfo (non più riconosciuto teriomorfo)  scolpito, come si è visto,  in una pietra del muraglione.
19) Marzo -Aprile -Maggio 2015.
20) Sanna G., 2012, I pittogrammi ciclici del Toro della luce. ‘Buon Natale dal Nuraghe Zuras di Abbasanta; in Monte Prama blogspot. com (22 Dicembre).
21) Sanna G, 2011, Scrittura nuragica. Ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura (9 Novembre); in Monti Prama, Rivista semestrale di Quaderni Oristanesi, N. 62, PTM ed. Mogoro, pp. 25 - 38.
22) V. nota 10. 

11 commenti:

  1. Caro Gigi, la nota 16 mi sembra in qualche misura centrale e delicata ("non siamo ovviamente in grado di stabilire"; "preferiamo ritenere"). Anche per questo, nella misura in cui sarebbe ancora ammissibile sostenere la casualità dell'aspetto taurino di quel concio (aspetto che certo non nego, ma casualità che nemmeno saprei escludere), la lettura del muro risulterebbe a sua volta perlomeno aleatoria (benché sapiente e onesta), quando non vi fosse appunto il fenomeno del triangolo equilatero di luce (in quella architettura, fino a prova contraria, così singolare) a chiedere ancora attenzione.
    Sarebbe bello (o sarebbe interessante, a volersi fingere neutrali) se ora, guardandosi meglio indietro e d'attorno, o in futuro, saltassero fuori rappresentazioni del Dio-Toro simili (magari molto simili) a quella del concio sul muro.

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  2. Perché 'centrale'? E' invece del tutto marginale. La sequenza organica è quella in basso e parla della porta: sha'ar, con la resh finale, con la 'testa' finale. Ma la figura 9 l'hai ben osservata? Cosa sono quelle? Bocche umane con teste umane? Non so proprio cosa intendi per 'simile'! Quelle due bocche sono spalancate e sono bocche taurine. Molto simili. Boh, proprio non ti capisco. Ma vediamo ancora di insistere con il prossimo articolo che si basa proprio sulla comparazione 'serrata' delle tre scritte del toro muggente.

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  3. Certamente l’incipit allo studio della porta mi fu dato dalla “lettura” epigrafica del monumento fatta dal Prof. Sanna; se ciò non fosse avvenuto, chi avrebbe potuto intuire la vera natura dell’edificio?
    Credendo fermamente alla fondatezza delle prove che vogliono l’esistenza in periodo nuragico di scribi capaci di un metodo scrittorio sofisticato quanto elusivo ma comunque regolamentato da un ferreo sistema, ormai dimostrato da centinaia di epigrafi in svariati supporti; studiando i metodi di individuazione, da parte di quelle genti, di precisi momenti dell’anno, entrando in sintonia col loro modo di pensare, che verosimilmente erano ossessionati dall’idea di un dio onnipotente che tutto creò, tutto guidava e disponeva, elargiva e prendeva senza alcuna possibilità di mediazione (modo d’agire presentato al popolo, indotto dalla casta sacerdotale, che deteneva il potere religioso e secolare); ricostruendo, benché in modo ipotetico (ma verosimile), la realizzazione dell’edificio secondo i metodi e le attrezzature note e sicuramente utilizzabili dalle maestranze addette alla costruzione; studiando quanto di storicamente è a noi pervenuto relativamente a riti e credenze di antichi popoli, dai quali abbiamo in alcuni casi ereditato quelle festività, benché dimentichi (noi) delle origini e paludate (le festività) da altri significati, mi sono persuaso che se la scrittura nuragica veramente esisteva, ero sicuro di poter trovare il fine di quella scrittura e i fatti mi hanno dato ragione.
    Ma di ciò non mi sono accontentato, ho voluto sondare il motivo primo di quell’evento, che qui voglio rimarcare perché ritengo sia alla base di tutto il costrutto; motivo che un po’ sfugge all’analisi dell’evento studiato, ma che inquadrato nel contesto degli orientamenti astronomici di tutti i monumenti nuragici, può su questi ultimi fare chiarezza.
    Mi riferisco al dato astronomico che coincide col ciclo agrario del grano, che allora legava la divinità all’uomo, tanto che quest’ultimo benché glorificasse il primo, lo sfruttava nascostamente per le sue esigenze pratiche, usandolo come una sorta di calendario che lo rendesse edotto sulla buona riuscita o meno del futuro raccolto.
    Il dato scaturito dalla ricostruzione tridimensionale del monumento è consolidato dallo studio dell’architetto Borut Juvanec che in maniera del tutto indipendente ha riscontrato nell’evento che avviene nel pozzo sacro di Santa Anastasia di Sardara le medesime date da me rilevate nella porta di Murru mannu, benché lui non le associ ad alcun evento pratico.
    Questa coincidenza incentiva da parte mia lo studio di altri monumenti che potrebbero manifestare teofanie in concomitanza del medesimo evento o altri (eventi), lì dove ricorrevano particolari circostanze importanti per la normale vita della comunità che praticava quei riti.
    Io ritengo che questa sia la strada da seguire in futuro, perché queste manifestazioni, penso abbiano alla base una valenza di mera praticità, avvolta in un’aura mistico-religiosa; di ciò sono convinto, dal momento che nel mondo agricolo-pastorale, anche le fasi lunari hanno scandito la vita di tutti i giorni da tempi immemori, tant’è che ancor oggi chi lavora in campagna prima di tagliare un albero per far legna, guarda prima la fase lunare, idem per la uccisione del maiale o per il travaso del vino nelle botti e via di seguito in tantissimi esempi di normale vita quotidiana.
    E’ in quest’ottica che penso dobbiamo vedere queste manifestazioni e gli orientamenti solari e lunari; un’ottica di concretezza materiale, la stessa concretezza che lasciò quelle genti nella totale indifferenza nei riguardi del metallo prezioso per eccellenza, l’oro, a vantaggio del bronzo che pur lucente era utilizzabile ai fini sacri ma ancor più per fini meramente materiali.
    Segue

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  4. A proposito di allineamenti astronomici, un esempio lo abbiamo avuto di recente in tutt’altra parte del mondo.
    E’ di poche settimane fa la notizia che in Cile, nel deserto di Atacama, ricercatori italiani per caso hanno scoperto petroglifi, della civiltà precolombiana di “El molle”, su due pietre che sembrano puntare verso il cielo. I calcoli astronomici hanno evidenziato che due stelle brillanti: Canopo e Rigil Kent si allineano perfettamente sopra le due pietre in un particolare momento dell’anno. L’allineamento avveniva in modo preciso intorno al 600 - 800 d.C..
    I ricercatori lo hanno interpretato come un avvertimento per i pastori di questa cultura per effettuare la cosiddetta transumanza, perché avveniva nel momento dell’anno in cui c’era il passaggio dalla stagione calda a quella più fredda. Per tanto quelle pietre indicavano che l’inverno stava arrivando.
    TG3 Leonardo del 16.02.2016.
    Anche qui la commistione tra rito religioso manifestato dai petroglifi e orientamento astronomico è legato ad una esigenza tutta materiale.

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  5. Il fatto è caro Sandro (e cari tutti) che i nuragici scrivevano tutto tutto. Attraverso l'epigrafia, l'archeoastronomia (naturalmente quella scientifica e non quella pasticciona), l'archeologia, la genetica, l'archeometria, l'antropologia e la scienza storica (cioè con un serio lavoro interdisciplinare) si può riuscire a capire meglio il passato delle civiltà del Mediterraneo (sarda nuragica compresa). Già nel Santa Barbara di Villanova Truschedu e in Zuras di Abbasanta si era vista questa possibilità di mettere a frutto tutti i contributi. E invece? Abbiamo visto i fracassoni, gli arroganti e...gli struzzi nonché il silenzio che uccide. Tutto è scritto e quindi tutto va letto. Ma su basi scientifiche 'filologiche', senza elucubrazioni. Altrimenti si resta al palo: con le postierle, i muri di difesa, le decorazioni e quant'altro. E si rischia, cosa la più pericolosa, di scambiare il presente con il passato. Il difetto peggiore di Lilliu che lo ha condotto ad essere tecnicamente il migliore degli archeologi ma dal punto di vista interpretativo il peggiore perché tremendamente depistante con tutta la sua ideologia militarista.

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  6. Ho letto il saggio dell'architetto Juvanec. E' molto serio e meditato (tant'è che ha dato anche quello scientificamente le date del ciclo del grano). Lui non ha intuito, come dice Sandro, la vera portata di quella manifestazione nè ha capito (pur avendo sfiorato la comprenzsione) il significato di ANASTASIS legato al toponimo Santa Anastasia. Ma di questo parleremo al momento opportuno. Cioè di una straordinaria 'resurrezione' senza la quale niente spighe e niente grano.

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  7. Ho scritto “centrale”, Gigi, perché quella che tu trovi “la sequenza organica” (in basso) è fatta in buona parte da quegli stessi elementi che in alto preferisci ritenere “cornice” e “motivo decorativo”. Non mi preme stare a sottolineare il fatto che se “i nuragici scrivevano tutto tutto” allora anche la cornice (ammesso che solo cornice decorativa sia) dovrà essere letta in quanto “scritta”; non credo sarebbe questo a mettere in difficoltà l’interpretazione. Mi preme sottolineare che sei tu stesso ad ammettere elementi solo decorativi di una semplice cornice che (ancora) non ti sembra di dover interpretare in alcun modo. E siccome quegli elementi sono gli stessi della “sequenza organica” in basso, trovo che tanto più resti centrale rispetto a qualsiasi intenzionalità di “scrittura” il concio con l’aspetto di “bruncu” taurino.
    Mi dici che rappresentazioni del Dio-Toro simili o già molto simili a quella riconoscibile sul nostro concio le conosciamo già, mi indichi in particolare quella di Maimoni. Sinceramente in Maimoni vedo più un volto umano (naso, ma non solo), e soprattutto mi lascia meno dubbi su una casualità naturale (che in Maimoni, per intenderci, escluderei). Ripeto: al centro della scritta che interpreti c’è la porta studiata da Sandro, che tanto meno merita di essere liquidata senza seria considerazione; davvero quella porta può portare elementi a sostegno di una interpretazione simbolica di tutta la facciata. Per intanto, e tanto per cambiare, volevo essere cauto sulla intenzionalità di quel concio e sull’interpretazione di quelle (e solo quelle) pietre chiare. Al fondo c’è la differenza in cui ci siamo già riconosciuti: tu, Gigi, saresti contento di trovare gli elementi che convincerebbero anche i (finti) ciechi, ma per intanto non ti dispiace affatto spingerti, anche quando trovi solo indizi che però insieme e per la concordanza con la comprensione fin qui raggiunta consideri prove, spingerti dove solo gli “iniziati”, ancora, possono seguirti (e se non ti seguissero, peggio per loro; arriveranno, prima o poi, come tutti gli altri); io tendo a desiderare che si possano aprire vie meglio accessibili e convincenti per i più, quasi preoccupato quando si aprono, invece, nuove strade che possono apparire non più accessibili e convincenti delle altre. Mi dirai di nuovo, appunto, che se queste sono le strade che troviamo tu non ti tirerai certo indietro. Lasciami però essere cauto, io tendo a essere quello che aspetta gli altri, quello che vorrebbe condividere i loro dubbi, anche rappresentandoli, perché si confrontino con le risposte disponibili e perché non ci si perda del tutto tra chi si è spinto nel labirinto e chi è rimasto fuori. Sarà troppo per le mie capacità, ma sai che non si tratta di strambo protagonismo, sai che apprezzerei chi lo facesse meglio e me ne sollevasse (quando altri pongono le opportune domande, anche quelle che io non saprei porre, me ne sto contento a leggere le risposte).
    A proposito di immagini di tori o teste di toro nella pietra, l’articolo ripreso lunedì sul blog mi sembra molto interessante.

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  8. Hai detto bene: 'preferisci'. E infatti 'ho preferito'. Molte volte, proprio per i 'non iniziati' bisogna assecondare la 'logica' corrente a costo di andar contro la logica del sistema. Anche perché il sottoscritto non sai quante volte si è chiesto se sia il caso di renderla così rigida da escludere solo elementi formali 'decorativi'. In realtà anche qui avrei potuto usare il massimo della audacia e dire che anche quelle pietre a cornice (?) sono scrittura. Ma è argomento questo del secondo articolo che qui per te (e per chi vorrà ascoltarmi) brevemente anticipo. L'audacia consisterebbe in questo. Come si chiamano in semitico (e in semitico biblico) le 'pietre' , i 'conci'(noi diremmo) del 'muro' di Murru Mannu? Si chiamano 'ABN (pl. 'ABNYM'), Se ora aggiungi il solito 'b' del 'due' o doppio colore (bicromia) ti troverai di fronte alla voce 'AB(a. Quindi la explicatio del muro andrebbe accresciuta con detta voce e cioè ' Del Padre (quel padre poi reso esplicito dalla lettura della 'testa') Porta Santa'. E che possa essere così tende a dimostrarlo il fatto che non pochi dei nuraghi (come riferito in nota) hanno quella bi-cromia che, se ho ragione io nell'azzardare (senza imbragature), vuol dire sempre 'padre'. Pertanto al NR –AK, nel caso della presenza della bicromia, andrebbe aggiunto NR -AK -AB (Padre Toro della Luce). E mi fermo qui perché altro ho da dire, nell'accennato secondo articolo, su questo 'Ab(a). Garantito anche dalla toponomastica. Ma una volta che ti ho detto 'in diretta' (siamo stati e siamo sempre proprio unici in questi Blog!) della possibilità della presenza di un'altra voce ancora e della presenza di essa nei monumenti nuragici a bicromia ti ho 'dimostrato' forse qualcosa? Ho solo ‘elucubrato’ come si suol dire. Almeno l'epigrafia sulla scrittura a rebus dei nuragici fosse come la 'scienza' esatta usata da Sandro! Almeno fosse che con strumenti precisi potessi rendere triangoli perfetti o quadrati o altro di geometrico ‘taurino’! Non sarei qui a postare decine se non centinaia di post perché si accetti quello che sostengo, con fatica immensa, da tanto tempo

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  9. Dunque, la bicromia e le pietre del muro (i conci) danno davvero 'AB(a) o no? Quella bicromia è scrittura o mera decorazione? Va aggiunta all'altra solo apparente 'decorazione' dei segni che mi danno il nome di 'santo' e di 'porta'? Francamente non lo so. Tanto che ho preferito (obtorto collo)essere addirittura più 'prudente' di te e assecondare la 'logica comune' attualizzante (caspita! quella sì che la si segue pecorescamente!) del motivo decorativo. Vedi, caro Francesco, dopo e decenni e decenni che affrontiamo la scrittura LOXH dei nuragici, avrei voluto che quell'osservazione sulla BI-cromia e le pietre (e cioè l'acrofonia di 'ab) me l'avesse suggerita qualche altro. Ma così non è stato. Purtroppo! Allora due (almeno due!) interpreti avrebbero contato più di uno. Detto questo e sperando d'essere stato capito su quel 'preferiamo', passo subito alla testa. Ma stavolta velocissimamente: vatti a vedere le due bocche taurine aperte per il muggito e quegli occhi(bovini) singolari. Solo i tuoi, di occhi, possono decidere! Come i miei, quelli di Sandro e quelli di tutti coloro che hanno prima guardato e poi visto! Perché quelle teste sono del dio padre toro luminoso con fattezze umane, proprio come lo è il bronzetto cosiddetto 'Mostro di Nule' o le statue dei 'Giganti' di Monti Prama che lo rappresentano, sempre mostruosamente, in terra. Ma quale 'casualità naturale'! Ma che dici! Almeno abbi la prudenza, quella sì di prudenza, mio caro Francesco, di aspettare la fine della puntata! Hai aspettato le sette 'sante' di Sandro e non aspetti la seconda umile mia?

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  10. Voglio dire che Murru in sardo vuole dire bianco
    Unu caddu murru

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    1. Si certo, murru ha pure questo significato, ma nel contesto di Tharros non mi pare abbia molta attinenza tradurre Murru mannu con "bianco grande". Vi sono tanti esempi di parole omofone che, volta per volta si usano nel contesto giusto; tant'è che se usassimo l'accezione "murru = muso" nel descrivere il cavallo del tuo esempio, ne salterebbe fuori che esso è un "cavallo muso".

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