di Sandro Angei
Una figura
sottile si staglia tra l’azzurro del cielo e quello del mare, la lunga veste ed
i capelli indicano la direzione del vento maestro, che spumeggia la cresta
delle onde in quella giornata di nuvole veloci.
“No, oggi apprenderai le leggi divine, quelle che tutto
regolano” Rispose l’anziana figura.
“Perché allora ho con me questi arnesi?” Chiese il giovane
mostrando la zappa di bronzo immanicata d’olivastro e un piccolo bacile.
“Dovrai lavorare e sudare per imparare, ora va’ in riva al
mare, lì troverai l’essenza plasmante della dea madre, riempi per bene il
bacile e nel frattempo ammorbidiscila con l’essenza di Maymon.” Disse l’uomo.
Il ragazzo corse giù dal pendio, riempì il
bacile d’argilla, ammorbidendola con acqua di mare, tanto che divenne plastica
ed appiccicaticcia, poi con fatica risalì il pendio. Nel frattempo il sacerdote
delimitò uno spiazzo del banco roccioso abbastanza pianeggiante, con quattro
pietre lì vicino raccolte, che posizionò grosso modo in direzione dei quattro
punti cardinali; quando il ragazzo tornò disse “Fai un recinto alto tre dita
unendo i quattro punti indicati dalle pietre, plasma bene l’essenza della dea
madre, nulla deve entrare né uscire dal recinto”. Il ragazzo non capiva ma
eseguì con cieca fiducia ed alacre velocità il compito affidatogli. “Fatto!”
Disse con esuberanza ed un sorriso di soddisfazione.
“Bene ora riempi il bacile con l’essenza di Maymon e
versala nel recinto, devi riempirlo per un’altezza di due dita”.
Ancora una volta
il ragazzo scese in riva al mare, riempì d’acqua il bacile e risalì trafelato,
versò l’acqua all’interno del recinto, due, tre, quattro volte, infine esordì
“Finalmente!” Il sacerdote accennò un sorriso, guardò la vasca piena d’acqua
poi disse “Vedi Elon, in quei tre punti la roccia è fuori dall’acqua, prendi la
zappa e fai in modo che rimanga sotto”, il ragazzo con sorpresa disse “Maestro,
ma così ferirò l’essenza della dea madre!” Disse l’uomo “Non preoccuparti
ragazzo ho già chiesto perdono per questo.”
Il giovane,
presa la piccola zappa, curvo iniziò a rosicchiare le asperità della roccia,
ogni tanto si fermava per riprender fiato ed allora il maestro misurava la profondità
col suo bastone nodoso. “Maestro perché intingi il tuo bastone nell’acqua del
recinto?” Chiese il ragazzo. “Non intingo il bastone, ma controllo le ferite
che tu arrechi all’essenza della dea madre”. Il ragazzo non capiva, al ché il
maestro intuendo soggiunse “Non preoccuparti dopo capirai.”
Elon continuò
tutto il mattino a levigare le asperità di quel piano e ripulirlo dai pezzetti
di roccia staccati a colpi di zappa; ogni tanto rabboccava il recinto con nuova
acqua che nel frattempo saliva invisibile al cielo, finché il maestro esclamò
“Basta così, non è necessario infliggere altro dolore all’essenza della dea
madre.” Il ragazzo, sollevandosi indolenzito dal lungo star curvo, grondante di
sudore e d’acqua di mare, chiese “Maestro spiegami per favole, quel che ho
fatto.” L’uomo con calma guardò il ragazzo e disse “Elon, sei ancora giovane ed
acerbo per capire tutto e subito, sappi però che con l’aiuto della dea madre e
di Maymon, hai realizzato una tavola dove il toro luminoso potrà scrivere con
precisione i suoi messaggi che noi, suoi figli, con occhi giusti possiamo
leggere.” Ribatté il ragazzo sorpreso “Ho lavorato con la dea madre ed il
divino Maymon?!” “Certo, la dea madre ti ha dato il supporto per scrivere e
Maymon ha fatto sì che esso fosse liscio e ben spianato.” “Come fai a sapere
che è ben spianato?” disse il ragazzo. “Il primo nodo del mio bastone ha detto
questo, io ho solo guardato.” L’uomo guardò negli occhi il ragazzo poi con un
sorriso disse “Per oggi abbiamo finito, se domani Maymon lo vorrà, potremmo
continuare.”
Il ragazzo
raccolse gli strumenti di lavoro e tornarono al vicino villaggio.
Il vento di
maestrale lentamente affievoliva la sua forza.
“Sveglia
ragazzo, è il momento” sussurrò l’anziano maestro al giovane discepolo “E’
quasi l’alba dobbiamo prepararci”. Il ragazzo si destò scosso dalla mano
energica del sacerdote, si alzò di scatto, girò su se stesso quasi a cercare
qualcosa, guardò il suo maestro e disse senza saper bene cosa “Si andiamo è il
momento…”.
Di buon mattino
il sacerdote si diresse col giovane allievo al sacro luogo. Il sole albeggiava
in un cielo terso e sgombro di nuvole, l’aria calma dava una strana sensazione
di benessere e tranquillità. L’uomo sorrise e sollecito, allungò il passo,
dietro il ragazzo quasi correva, scomposto e avviluppato com’era
nell’armamentario che si portava dietro. Il sacerdote poggiava le sue membra
sul fido pastorale d’olivastro nodoso, con la mano libera teneva un bastone di
foggia stranissima, più corto del suo pastorale, diritto come i raggi del sole e
con in cima due serpenti di lucido bronzo avvinghiati nei loro corpi sinuosi e
le teste affrontate.
Arrivarono al
piccolo terrazzamento roccioso perfettamente spianato il giorno prima; l’uomo
disse al giovane “Fai un piccolo foro qui, nella roccia, profondo quattro dita,
che ci stia dentro l’araldo.” Quello svelto obbedì e in poco tempo fece una
fossetta. Il sacerdote v’infilò il bastone coi serpenti, dalla borsa tirò fuori
quattro sottili corregge di pelle, fece un cappio all’estremo di tutte, tre di
quelle le strozzò attorno ad un nodo del bastone, poco sotto le code dei due
serpenti, le altre estremità penzolavano affianco al bastone che, poggiate per
gran lunghezza a terra, la brezza ogni tanto cercava di portare con se. Disse
al ragazzo “Cerca tre pietre pesanti, quelle che riesci con sforzo a
trasportare e mettine due vicino a due angoli della vasca, quelli di uno dei
lati diretti al sole nascente, la terza a metà del lato opposto.” Il ragazzo
fiducioso obbedì e con gran sforzo issò i tre massi. L’uomo prese le estremità
libere delle corregge legate al bastone e fece un nodo che strozzò attorno alle
tre pesanti pietre e disse al ragazzo “Prendi ogni pietra e tendi i lacci.” Il
ragazzo con forza e sudore ancora obbedì.
Il sacerdote prese
la quarta correggia, era più corta delle altre e serrò il cappio attorno ad un
piccolo sasso; in faccia al mare col braccio teso fece penzolare lo strumento
appena formato davanti al bastone conficcato e inzeppato nel foro, traguardò la
correggia e il bastone: “Allontana dall’araldo la pietra che sta dalla parte
del sole nascente” Disse. Il ragazzo spostò la pesante pietra che tese ancor
più il laccio che inclinò il bastone. Traguardò nuovamente: “Ancora un po’…!”
Comandò. Il laccio ancor più teso vibrò leggermente, inclinando il bastone
quanto bastava per renderlo un tutt’uno con la correggia di pelle.
L’uomo spostò la
sua posizione e si mise spalle al sole, tese il braccio da cui pendeva la
correggia e il sasso, ancora traguardò il bastone “Allontana il masso dalla
parte del mare dove il divino Maymon scruta e protegge” Disse al ragazzo,
quello obbedì. Un sorriso di compiacimento si dipinse nel viso del sacerdote.
Il bastone e la correggia di pelle erano un tutt’uno.
Il sole saliva
alto nel cielo, l’ombra del bastone man mano ruotava verso l’alba e accorciava
la sua lunghezza; i due serpenti avvinghiati in guisa d’anello, in principio
formavano delle strette lame di luce. Il ragazzo guardava con attenzione
l’ombra del bastone che lentamente si spostava, ad un tratto si mise in piedi e
fece per portarsi alla parte opposta del bastone, subito il maestro lo redarguì
“Non lì Elon, impedisci al divino di scrivere!” quello di scatto fece un passo
in dietro e con imbarazzo e incredulità disse “Scrivere?” “Certo!” Disse il
sacerdote “Lui scriverà col bastone sul corpo della dea madre. Vieni qui dove
sono io, in faccia a Nul.” Il ragazzo ancora chiese “Maestro perché il tuo
bastone ha quei due serpenti?” L’uomo rispose “Quelli sono gli occhi di Nul:”
Il ragazzo replicò “Nul scrive con gli occhi? E gli occhi di Nul sono
serpenti?” “Si!” Rispose il sacerdote sorridendo quasi divertito, i suoi occhi
erano due fessure.
Aspettarono che
il sole fosse abbastanza alto nel cielo, i due serpenti avvinghiati disegnavano
sulla roccia con le loro sagome sinuose, come dei grossi occhi che pian piano
si aprivano nel procedere del sole nel suo cammino verso la vetta del cielo. Il
sacerdote veloce, prese alla cieca lo stilo che aveva nella piccola borsa, lo
puntò a terra nel punto esatto dove l’angolo acuto rivolto al sorgere del sole
dell’occhio inferiore, si stagliava e lì tracciò un solco diritto e profondo
sulla roccia viva dicendo “Questo è il primo braccio di tanat e custu esti
s’ossu arrabiosu.” Disse indicando l’estremo più vicino al bastone.
Prese ancora la
correggia di pelle che aveva riposto nella sacca, fece nuovamente un cappio a
guisa d’anello attorno al bastone, giù alla base, poco sopra le zeppe, in una
piccola scanalatura che correva attorno all’araldo. Tese con forza il filo di
pelle, vi fece scorrere lo stilo di bronzo con movimenti sicuri fino ad
arrivare al più vicino estremo del solco appena tracciato, con precisione
disegnò sulla roccia un intero cerchio, passando sotto le corregge di
controvento.
L’uomo ed il
ragazzo attesero con pazienza che l’astro avesse scalato la montagna del cielo
e iniziasse lentamente a scendere verso il mare, l’ombra del bastone sempre di
più si allungava finché l’occhio arrivò e il suo primo angolo acuto ghermì il
cerchio e lo superò, piano piano la coda dell’occhio arrivò pure lei al cerchio
e quando arrivò il momento di superarlo e staccarsi da esso, pronto il
sacerdote con lo sguardo teso, tracciò con lo stilo un tratto simile al primo,
proprio in quel punto dell’occhio rivolto al tramonto. Prontamente il ragazzo
chiese “Maestro perché il primo braccio di Tanat l’hai tracciato con la parte
dell’occhio rivolta al sole nascente, mentre l’altro con la parte rivolta al
sole che muore?” L’uomo si aspettava quella domanda da quel ragazzo dall’indole
acuta, era orgoglioso di lui, aveva scelto bene tra i tanti che aspiravano a
diventare suoi allievi e con calma rispose “Perché la verità sta nel mezzo
ragazzo mio! Vieni qui.” Il ragazzo si avvicinò al suo maestro, quello prese lo
stilo che aveva in mano e lo posò a terra poco distante, poi prese il pastorale
e lo mise in verticale davanti al ragazzo dicendo “Chiudi un occhio e cerca di
guardare lo stilo dietro al bastone, poi stai fermo in quella posizione.”Il ragazzo
spostò leggermente la testa, lo stilo si stagliava sul profilo destro del
bastone. “Ora apri l’occhio e chiudi l’altro” disse il maestro; il ragazzo
obbedì e con gran meraviglia esclamò “Maestro che magia è mai questa? Lo stilo
si è spostato da una parte all’altra del bastone!” L’uomo scoppiò in una sonora
risata poi disse sorridendo “No Elon, non è magia, questi sono i misteri della
natura. Quello che hai ora sperimentato dimostra quello che ti ho detto, lo
stilo non è a destra né a sinistra del bastone ma dietro, sei tu che ti sei
spostato da un occhio all’altro e se io avessi tracciato il solco usando lo
stesso occhio non avrei capito il messaggio divino, perché la natura divina è
una ma bisogna interpretarla, a volte si rivela doppia come le nostre mani o i
nostri occhi oppure si rivela come la tua immagine nell’acqua calma dello
stagno o capovolta come i monti che in essa sembra si gettino. La potenza che
il divino emana con la sua luce è una, l’araldo rivela la sua natura doppia,
noi suoi figli prediletti abbiamo la facoltà di vedere la sua natura trina.” Il
ragazzo non capì il significato di quell’ultima affermazione ma abbassò lo
sguardo e non osò chiedere altro.
In silenzio il
sacerdote, prese ancora la correggia dalla borsa e annodò un capo all’alluce
del piede destro, pose il dito sul primo segno e vi schiacciò con precisione la
correggia sopra, il laccio sotto il dito corrispondeva con “s’ossu arrabiosu”;
al che il ragazzo esclamò “Maestro ti aiuto!”
“No Elon, così non t’insegno nulla, tu devi guardare quel
che io faccio.”
Il ragazzo ribatté “Come puoi tendere la correggia da
solo, ho capito che devi pure usare lo stilo.” Che gli porse dopo averlo
raccolto da terra.
Il sacerdote
rispose “Se hai un compagno vicino puoi scegliere di farti aiutare, se sei solo
puoi chiedere aiuto solo a te stesso” e senza dire altro tese con forza la
correggia, che vibrò; con calma prese lo stilo e lentamente ma con sicurezza
tracciò un solco che unì i due segni; infine disse “Ecco queste sono le braccia
di Tanat.”
Con gesto veloce
liberò il bastone dalle corregge e dalla sede di roccia, lo posò a terra, il
suo compito era terminato.
Con la correggia
di pelle ancora annodata all’alluce del piede destro, pose il dito ancora sul
primo segno e vi schiacciò con precisione la correggia sopra, con la mano
sinistra tese il filo e vi fece scorrere lo stilo, diede un’occhiata alla sede
del caduceo, sulla destra, poi voltò lo sguardo a sinistra fuori dal cerchio,
stimò la posizione e con sicurezza tracciò due archi, uno fuori e l’altro
dentro al cerchio. Cambiò posizione e con lo stilo ben fermo su quel punto
della correggia, fissò il capo della correggia legata al dito sull’altro gomito
di Tanat, tracciò altri due archi di cerchio come prima: uno a sinistra, l’altro
a destra. Due croci curve comparvero sulla roccia. Spostò il piede con la
correggia fissata all’alluce sulla croce all’interno del cerchio, schiacciò per
quanto gli era possibile il piede a terra, tese ancora la correggia, che vibrò
sotto tensione, puntando sulla seconda croce, attese che l’oscillazione
terminasse e con mano sicura tracciò una linea.
Gocce di sudore
imperlavano la sua fronte, si alzò liberando l’alluce dal cappio, guardò
l’allievo e disse “Ecco questo è il segno che indica il punto in cui Nul è
nella vetta del cielo, è il mezzogiorno di ogni giorno, ricordalo!”
L’allievo
chiese: “Maestro perché tutto questo?” Quello rispose: “Questo è lo strumento
che il divino ci ha fornito per indicarci i momenti della sua e della nostra
vita.” Ancora chiese “Chi ti ha insegnato?” Lui rispose “Il divino mi ha
insegnato; suoi messaggeri lungo la mia strada ho incontrato, loro mi ha
insegnato le sue leggi e gli strumenti per renderle vere. ” Il discepolo
soggiunse “La correggia di pelle, il sasso, il… bastone coi serpenti, te li ha
dati lui?” L’uomo sorrise “No Elon, ma mi ha dato il bue che fornisce la pelle
per fare corregge, mi ha dato il sasso da appendere alla correggia, mi ha dato
la capacità di capire come usare una correggia con un sasso legato ad essa.” Il
giovane ancora esordì “Mio padre usa la pelle tagliata a quel modo per
costruire frombole per lanciarle, le pietre.” Il sacerdote rispose “Gli
strumenti che il divino ci fornisce sono tutti buoni, spetta a noi decidere se
usarli per dare la morte o comprendere la natura divina. Io ho scelto di usarli
per capire i messaggi di Nul e rendergli omaggio.”
Chiese ancora il
discepolo: “Maestro quali sono i momenti della vita del divino?”
Quello rispose:
“Sono gli eventi della luce che si ripetono in eterno sempre uguali, quelli che
segnano i momenti che noi uomini dobbiamo seguire ed onorare per avere buoni
raccolti e bestiame forte e vitale, quelli che dobbiamo conoscere per cavalcare
con le nostre navi le onde del mare, spinte dal soffio divino. Guarda le linee
che ho tracciato sulla roccia, altre ne tracceremo ancora e con quelle potremmo
prevedere il futuro, capire quando inizia il risveglio della natura, quando
arriverà il soffio divino che porta le acque del cielo, quando potremmo cogliere
il frumento e l’orzo maturi.” Con
l’aiuto del ragazzo, l’uomo prolungò le estremità della linea che individua il
mezzogiorno fino a lambire il cerchio nei punti diametrali, puntò un estremo
della correggia nel primo punto individuato nella circonferenza e facendo
scorrere lo stilo di bronzo su quella, tesa, arrivò al centro della fossetta,
tracciò a destra e sinistra di essa un arco, fino ad incontrare ancora il
cerchio in due punti; ancora aiutato, tese la correggia tra i due punti appena
tracciati, poi tra ognuno di essi ed il secondo diametrale già individuato,
quello più lontano. Comparve un perfetto triangolo equilatero, il ragazzo
ammutolì e in lui tornarono alla mente le parole del maestro «Noi suoi figli
prediletti abbiamo la facoltà di vedere la sua natura trina».
Il sacerdote si
sollevò “Ecco questo è il segno del divino, il segno della perfezione”.
Ancora si
accosciò e aiutato tracciò ancora una nuova linea che dal vertice d’aurora
passa per la fossetta, dicendo “questa che ho tracciato indica l’alba del
giorno più lungo ed il tramonto del giorno più corto.
Si accosciò
nuovamente e ancora aiutato tracciò una nuova linea che dal vertice
dell’imbrunire passa ancora per la fossetta, e disse “questa che ora ho
tracciato indica l’alba del giorno più corto ed il tramonto del giorno più
lungo. Questi sono i segni di morte e rinascita del toro celeste, sono i segni
della sua immortalità.” Il ragazzo lo ascoltava con attenzione; il maestro
continuò “Dimmi Elon, come scriveresti «segni immortali»?” Il ragazzo riflettè
un momento poi prese il suo stilo, quello che custodiva gelosamente nella sua
piccola borsa “Maestro posso scrivere sulla sostanza della dea madre?” “Certo!”
rispose l’uomo. Il ragazzo iniziò a tracciare dei segni sulla roccia: una croce,
una seconda croce, un serpente: TTN. Il maestro gli domandò “Perché il serpente
lo metti fuori dai segni? Quei due segni sono le braccia che accolgono Nul”
Quello lo guardò e subito capì e riscrisse: TNT. Con soddisfazione malcelata da
un sorriso l’uomo disse “Bravo Elon.” Il ragazzo sorrise di gioia e stupore “Ma
ho scritto Tanat!” “Certo, Tanat, che è volto di Ba‛al, perché questa è la sola
possibile raffigurazione del supremo: l’occhio divino sulle braccia rivolte al cielo sopra il segno trino: il segno sacro, quello che ti ho insegnato
a scrivere con molta attenzione, riverenza e timore”. Il viso del ragazzo si illuminò di un
candido quanto esplosivo stupore “Maestro, ora ho capito quanto importante sia questo segno, ho capito il suo significato profondo!” Il maestro lo guardo e
con mezzo sorriso sulle labbra chiese “Dimmi, qual’è?!” il ragazzo con un
pizzico d’orgoglio e il cuore che batteva forte disse “Segni immortali in
faccia a Ba‛al!” L’uomo soggiunse “E’ vero mio buon Elon, il significato è
proprio questo – Tanat panê Ba‛al –.
Il ragazzo ancora chiese “Maestro ho capito che il bastone con i
serpenti è il messaggero divino, ma dimmi, ogni volta che ci porta i messaggi
dobbiamo disegnare Tanat?”. L’uomo con evidente entusiasmo per quella domanda, rispose al giovane allievo “Non Elon, non è necessario se i segni sono
tracciati profondamente nella essenza della madre terra. Come ti ho detto questi
segni servono a prevedere il futuro ma anche a conoscere il presente.”
“Cosa significa: conoscere il presente.” Chiese il
ragazzo.
L’uomo rispose “Significa chiedere al nostro dio, tramite
il bastone messaggero, da quanto tempo la lanterna divina è comparsa
all’orizzonte e quanto tempo ci vuole ancora perché arrivi nel punto più alto
della montagna celeste.”
“A che serve maestro tutto ciò?” Insistette il ragazzo.
“Serve per scandire i momenti del giorno, perché ci sono
momenti da dedicare al nostro dio, momenti da dedicare al lavoro nei campi,
momenti da dedicare agli animali, momenti da dedicare al nostro sostentamento e
momenti da dedicare al riposo. Ci vorrà tempo e fatica perché tu apprenda
queste ed altre cose, ti basti ora capire che se domani torneremo qui per
chiedere un responso al nostro dio, sarà sufficiente infilare il messaggero
divino nella piccola fossa che oggi hai scavato e tenerlo in piedi come noi
stiamo in piedi.”
Il ragazzo con
entusiasmo chiese “Allora domani torniamo qui e chiederemo un nuovo responso?!”
“Certo!” Rispose il maestro.
L’indomani il
ragazzo di buon’ora si alzò e si diresse verso la capanna del suo maestro; lo
trovò che scriveva una invocazione a yhw su una brocchetta appena formata
d’argilla ancora umida. “Maestro, ti chiedo perdono se ti distraggo dalla tua
scrittura, ma ti ricordo che dobbiamo chiedere il responso divino.” Il
sacerdote sollevò il viso e con calma,
per niente turbato rispose “Non c’è fretta, la lanterna divina è ancora bassa,
andremo quando si accingerà a salire nel punto più alto.” Il ragazzo, con una
smorfia di delusione, diede un calcio ad un ciottolo, poi sorrise e sedette di
fronte all’uomo; parlarono a lungo e confidò al sacerdote “Maestro questa notte
ho pensato a quello che ieri abbiamo fatto ed ho capito che il nostro dio e
molto buono con noi.”
L’uomo guardò il ragazzo negli occhi e severo disse “Il
nostro dio non è buono né cattivo, siamo noi che usiamo i suoi insegnamenti per
azioni buone o cattive.”
Il sacerdote ripose la brocca, guardò in direzione del
sole e disse “E’ ora, prendi il messaggero divino.” Il ragazzo lo guardò
stupito e disse “Io?!” “Si, prendilo” Soggiunse l’uomo con un sorriso benevolo.
Il ragazzo prese
il bastone e con orgoglio affiancò il suo maestro, s’incamminarono.
Il sole
splendeva alto nel cielo, arrivarono al sacro sacello ed il sacerdote disse
“Infila il bastone nella buca”, poi prese un sasso lo infilò in un cappio della
correggia di pelle che da esso pendeva, che nottetempo aveva lì fissato,
traguardò il filo teso dal peso e la linea del bastone che dietro di essa si
stagliava, erano un tutt’uno.
Il Ragazzo
guardò e prontamente chiese “Maestro, questo gesto che ora stai facendo con la
correggia attaccata al bastone ieri l’hai fatta in maniera diversa.”
L’uomo non
distogliendo lo sguardo disse “Hai messo molta attenzione ieri… e oggi pure,
sei arguto ed hai capito che sto eseguendo lo stesso rito di ieri in maniera
diversa.”
Il ragazzo con
una punta di fierezza disse “Si certo, ma… perché ieri hai usato quel metodo
più difficile?”
L’uomo rispose
“Perché quello è il metodo primordiale, quello che userai quando non avrai
altri mezzi a disposizione.” Al ragazzo bastò la risposta.
“Inzeppa il
bastone nel foro” Ordinò il maestro e quello a colpi di maglio conficcò due
piccoli legni tra bastone e lo spazio rimasto della fossetta. Il bastone era
abbastanza stabile tenendolo con la mano: quasi si reggeva da solo. Con calma
il sacerdote aspettò il momento, sul piano di roccia si stagliavano i due
serpenti affrontati, la testa di uno guardava l’altro in direzione del levar
del sole, l’altro al tramonto, la traccia incisa il giorno prima era lì immota
e immutevole, i due serpenti lentamente parevano muoversi all’unisono uno in
avanti l’altro a ritroso, fin quando giunse il momento fatidico “Ecco questo è
il momento!” disse enfatico il sacerdote e rivolto al suo allievo continuò “I
due serpenti sono divisi dal segno divino, questo è il momento in cui la divina
lanterna è sulla cima del pilastro celeste che da la vita e con amore ci offre
salute e fortuna! Come ieri era per i nostri avi, come domani sarà per i figli
dei figli da te generati; per sempre!”
Il sacerdote
prese la mano destra del ragazzo vi pose nel palmo un piccolo oggetto, vi
richiuse le dita sopra, dal pugno pendeva una corta correggia di pelle. Guardò
negli occhi quel ragazzo dallo sguardo intelligente e disse “Portalo sempre con
te, custodiscilo e quando celebrerai il rito, così reciterai «Oh Nul, pilastro
della vita offri a noi con amore, salute e fortuna!»
Il ragazzo aprì
la mano, guardò gli strani segni incisi sull’amuleto, lo pose al collo, chiuse
gli occhi e recitò.
Ho scelto di
iniziare questo studio con un racconto scaturito dalla mia fantasia. Racconto
che ha preso le mosse nel momento in cui stavo studiando e scrivendo l’articolo
sul volto di Maimoni. Allora non pensavo di arrivare fin qui, ma allora mi
incuriosì l’attinenza che poteva avere il triangolo equilatero posto sul capo
di Maymon, con equinozi e solstizi. Poi un filo invisibile ha collegato sole,
triangoli, cerchi e caducei in mano a Tanit o Tanat come la chiama Elon;
collegamento che continua e lega il caduceo alle piramidi.
Vi chiedo di
armarvi di una buona dose di pazienza, perché il viaggio sarà lungo e la strada
tutta curve, per la presenza di molte note che sono però necessarie per capire
fino in fondo il mio assunto.
Aspettando Nul, non ci hai dormito per tante notti sul colle sacro, nevvero?
RispondiEliminaNotti insonni e cervello a mille per dipanare la matassa, c’erano tanti di quei nodi, che era difficile solo pensare di iniziare a scioglierli, però essendo un po’ testardo e visionario, ho ripercorso i loro gesti, quelli antichi antichi, o per lo meno ci ho provato!
EliminaNaturalmente questo è solo un racconto e rimarrebbe tale se finisse tutto qui, ma penso che una volta arrivati all’ultimo capitolo di questo studio, qualcuno potrebbe avere la tentazione di rileggerlo.
"La tradizione racconta che Platone fece scrivere sul frontespizio dell'accademia da lui fondata: 'Non si entra qui se non si è geometri'. Su questa base, e non senza questa base, potranno svilupparsi quelle vie che si vogliono percorrere seguendo le inclinazioni della propria intelligenza."
RispondiEliminaMi sarebbe piaciuto dedicarti queste parole in modo più originale, pescandole cioè direttamente da ricordi del liceo o da più vaste e approfondite letture successive, invece le ho ancora in testa solo perché lette nella rubrica di Umberto Galimberti sul magazine di Repubblica dell'ultimo sabato (indirizzate a motivare allo studio anche delle materie di base che pure non si amino). Ringraziato Galimberti, il pensiero mi sembra qui molto pertinente.
Appenderò al collo un’immagine di Platone!
EliminaLa notte insonne con il silenzio assoluto è il momento migliore per leggere e lasciarsi trasportare da questa storia piena di insegnamenti saggi e semplici.
RispondiEliminaGrazie
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