[..] Non ci può essere una "società delle case" senza le case, con le relazioni che si instaurano tra gli edifici, i cimeli, le ossa e le ricchezze materiali. Allo stesso modo non può esistere una società delle case senza legami di sangue, spiriti degli antenati e vincoli di affinità. In altre parole i membri femminili e maschili di una "casa" sono solo pedine di una strategia che mira a preservare e a potenziare il retaggio fisico e morale della "casa" [..] (1).
[..]Rispetto al clan e al lignaggio, la "casa" possiede alcune caratteristiche distintive che si possono enumerare come segue: la casa è 1) una persona morale, che 2) detiene una proprietà o dominio 3) comprendente beni sia materiali che immateriali; essa 4) si perpetua attraverso la trasmissione del proprio nome, delle sue ricchezze e dei suoi titoli in linea reale o fittizia, e tale trasmissione 5) è considerata legittima a condizione che possa tradursi nel linguaggio della parentela o dell'alleanza, o 6) più di frequente di entrambi[..] Da: http://www.treccani.it/enciclopedia/parentela_(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/
Teorizzate e analizzate da Levi-Strauss, a metà degli anni '70 del secolo scorso: sono le sociétés à maison, dove l'entità morale che presiede è la "casa" stessa, la casa come persona morale che detiene proprietà e dominio. In antropologia se ne è parlato a volte come un sistema sociale primitivo, oppure come un qualcosa che si è evoluto in casati e regni con particolari caratteristiche (1). A chiunque può venire in mente la storia biblica di Giacobbe e delle 12 tribù, ma non bisogna confondersi: non è Giacobbe la casa, lui ne è solo a capo; tutto ciò che Giacobbe e i suoi discendenti fanno non è per difendere un clan o una struttura patriarcale: è per la "casa", loro sono solo strumenti-il patriarca stesso a capo di essa sulla terra è strumentale. Perchè sappiamo bene chi o cosa è la casa di Giacobbe o ne è a capo veramente: è Yahweh.
Per la "casa" si fa tutto, si trova ogni espediente per mantenerne i beni materiali e immateriali (li chiameremmo "valori") all'interno di essa, accrescendone al contempo la potenza: i membri femminili e maschili di una "casa" sono solo pedine di una strategia che mira a preservare e a potenziare il retaggio fisico e morale della "casa" (1), questa è la frase chiave che ci fa capire il concetto e quanto la "casa" stessa possa diventare una sorta di prigione morale e materiali, con regole e vere e proprie leggi che ne regolano l'esistenza.
Anche quando la "casa" evolve verso strutture più accentrate come un regno, oppure tipicamente in regni basati su città (Cananei dell'Età del Bronzo), addirittura in imperi, i suoi membri rimangono ancorati alla "casa"stessa come radice della propria potenza e legittimizzazione.
Una "società delle case" è intrinsecamente complessa e la si capisce al meglio col lessico dei sistemi complessi: ogni "casa" è un nodo di potere e in linea di principio non esiste un potere centrale. Ma ciò non implica anarchia o egualitarismo: si parla di eterarchia, un concetto che non implica uguaglianza, assenza di potere o una società appiattita, ma implica diversi "nodi" di potere. Le meno gerarchiche sarebbero così le comunità tardo-neolitiche della Grecia e la società nuragica dell'Età del Bronzo, mentre le più marcatamente inegualitarie sarebbero Ugarit e la società palaziale micenea. [..]Si noti però che "meno gerarchiche" non significa egualitarie, ma solo che ci sono più attori politici che competono per essere influenti su un piano più o meno egualitario. Un'accresciuta differenziazione socio-politica implica che ci siano sempre meno "case" che lottano per il potere e l'autonomia. Così nella Grecia micenea e a Ugarit abbiamo solo poche "case" che governano molte altre piccole "case", mentre nella Sardegna nuragica e nei Balcani neolitici ci sono migliaia di "case" competitive, alcune delle quali diventano più ricche e potenti che altre, ma che non arrivano mai a controllare territori estesi. In alcuni casi, processi di centralizzazione da parte di grandi "case" vengono ridimensionati prima di poter dare origine a stati territoriali o imperi. In ogni caso, si può suggerire che nel momento in cui una "società delle case" cessa di esistere in modalità eterarchica, cessa anche di essere una "società delle case" [..](1).
Le organizzazioni descritte sono intrinsecamente dei chiefdoms (domini), ma si differenziano dagli altri tipi di chiefdom o di stati primevi per modo in cui le affinità parentali e culturali vengono orchestrate e per il ruolo che le "case" stesse hanno nelle strategie corporative: le "società delle case" sono incompatibili col concetto di stato territoriale retto da un potere monarchico fortemente accentrato, ma sono anche incompatibili col concetto di città-stato con forti istituzioni civiche, dove il potere viene condiviso, ad es., tra tutti i cittadini maschi liberi (Atene) o in modo oligarchico (Roma). In altre parole la competizione tra "case" è essenziale in una "società delle case".
Tratti in comune nelle "società delle case"
Secondo gli autori dello studio sono questi:
1. La rilevanza della patrilinearità della moglie, inferita da testi o evidenze materiali. Esempi ne sono donne che ereditano la proprietà e diritti in assenza di eredi maschi; la coppia che va a vivere nella casa genitoriale della sposa; ricce sepolture femminili; rappresentazioni di donne e uomini come fondatori di lignaggi; donne che partecipano attivamente alle strategie per nominare capi o re; bilateralità basata sulla "dote" dove le donne sono pedine nei giochi di alleanze omogamiche o ipergamiche. In altre parole l'apparente "potere" femminile non è reale, ma queste donne sono trasmettitrici di diritti (1). Nel caso raro in cui diventino capi o governanti esse stesse (ad es. le rare regine egizie) possono farlo solo in quanto uniche discendenti di una Grande Casa: le donne cioè non ereditano il patrimonio paterno in caso vi siano eredi maschi, ma la dote assicura la trasmissione dei diritti alla prole.
2. Le case, come edifici, sono elementi simbolici chiave, un aspetto indiziato dalla presenza di santuari dentro le case o i palazzi (come a Ugarit); le case possono fungere esse stesse da templi o santuari; le case vengono imbevute di simboli religiosi e cosmici (decorazioni, offerte rituali nella casa stessa o nelle vicinanze; la casa antica o ciò che ne rimane può venire trasformata in simbolo sociale o spazio rituale.
3. Nella casa viene investito un grande sforzo: la taglia, la complessità, la monumentalità e/o la decorazione sono tutti elementi di questo investimento, che è anche morale e non solo materiale.
4. Titoli nobiliari, di rango o per funzioni particolari. Evidenze testuali, ma anche materiali: scettri, bastoni del comando, diademi, corone, anelli sigillo, elementi indicativi di una determinata funzione ecc. Altri segni materiali sono elementi che indicano una funzione rituale specifica (es. coltelli per sacrifici). Nella cultura materiale i "titoli" possono essere identificati da due marcatori: il carattere prostetico dell'oggetto (es. il bastone del comando come estensione del bracci) e la presenza di simboli che colleghino l'oggetto alla sua funzione politica o religiosa.
5. Una forte preoccupazione per il passato: occupazione ripetuta degli stessi luoghi ancestrali dalle stesse "case" (non necessariamente per lo stesso uso); cimeli e culti degli antenati, sono tutti indicatori della ossessione della "casa" per la propria legittimizzazione e perpetuazione. Spesso spazi religiosi sono costruiti sopra quelle che erano un tempo abitazioni, rivelando sia un intento genealogico, sia le connotazioni intrinsecamente sacre delle case in questo tipo di società:
[..] Non ci può essere una "società delle case" senza le case, con le relazioni che si instaurano tra gli edifici, i cimeli, le ossa e le ricchezze materiali. Allo stesso modo non può esistere una società delle case senza legami di sangue, spiriti degli antenati e vincoli di affinità. In altre parole i membri femminili e maschili di una "casa" sono solo pedine di una strategia che mira a preservare e a potenziare il retaggio fisico e morale della "casa" [..] (1).
Il Mediterraneo, il re-pastore e i nuragici
Gli autori dell'articolo prendono in considerazione principalmente 4 aree: I. Il Levante (Ugarit, gli "stati-città" dei cananei, Israele) II L'Egeo (società minoiche, micenee e dell'Età del Ferro) (Minoan, Mycenaean and Iron Age societies); III Sardegna (società nuragiche di Età del bronzo e del Ferro); IV L'Italia centrale (società villanoviane, etrusche e laziali)Non prendono in considerazione nel dettaglio l'Egitto, pur facendovi più volte riferimento: e non c'è da stupirsi, visto che in modo esplicito e soprendente il nome stesso del faraone significa "Grande casa" (più chiaro di così!).
I risultati della loro analisi, anche se purtroppo senza le figure, sono leggibili a questo link, e non verranno riportati qui nei dettagli, bastino alcune citazioni, come la parola semitica paradigmatica bayt: essa indica simultneamente la casa e la dinastia. dal levante arrivano anche esempi dell'aspetto "frattale" delle "società delle case" maggiormente gerarchizzate: la Casa di Dio viene replicata nella casa del re, la quale è replicata nella casa dei nobili a loro volta replicate in quelle degli uomini comuni; ogni casa incorpora gli stessi principi e opera allo stesso modo (1).
Una figura chiave del Mediterraneo e, secondo gli autori, strettamente legata alla "casa" è il re-pastore, un figura essenziale alla sua legittimazione: l'identificazione del re-pastore-di-uomini nelle società vicino-orientali è di diversi decenni fa, ciò che è nuovo è associarla strettamente alle "società delle case". Diverse insegne regali da Ugarit configurano il bastone pastorale come insegna stessa del re, e nei testi si definiscono il re come "Signore del bastone pastorale". Il simbolo è diffusisimo nel Vicino Oriente e associabile alle "società delle case" fin dai loro primordi. [..]In Egypt, the Pharaoh was viewed both as his people’s shepherd and as the head of a ‘great house’. In Mesopotamia, the epithet ‘shepherd’ was applied to the Akkadian kings from the times of Sargon I onwards (2270–2215 BC).The title is rare before the mid third millennium, which has to be related to the fact that agriculture was prevalent in Sumerian times, as opposed to pastoralism. The adoption of the shepherd’s crook and cane as insignia intended to convey both the mandate received by the gods to watch over their flocks and the concept of righteous government—an idea that coincides with the image of house heads as both rulers and priests[..] (1).
Un'idea che giunge fino a noi con l'immagine di Cristo, il "nostro" re-pastore-di uomini e che dà perfino alla parola re una diversa connotazione. Il re "serve" anch'egli la "casa", a volte diventa identificato con la "casa" stessa (come il faraone divinizzato).
Ovviamente quello che salta agli occhi di chiunque è il numero enorme di nuraghi ed il loro uso continuativo nel tempo, e la monumentalità delle tombe di Giganti e dei nuraghi stessi, l'investimento costruttivo: tutti elementi che indicano come i nuraghi e le tombe fossero elementi chiave per dare il senso della comunità. Secondo gli autori il nuraghe era l'elemento di riferimento per un gruppo specifico, che in qualche modo si identificava con l'edificio stesso. Era intriso di valori morali e materiali. Gli studiosi lo definiscono uno strumento sociale "ambiguo" che si evolve nel tempo, adottando le tipiche strategie corporative delle "società delle case": [..]Rather than seeing in the nuraghe a reflection of elite power, then, we could see in it an ambiguous social tool: originally a monument to prevent social division through common labour, it was eventually subverted by means of typical house society strategies, to allow some house heads to achieve status and gain social control. This, however, is something that did not happen before the Bronze Age–Iron Age transition[..] The complex lives and afterlives of nuraghi are another element that fits the house society model, where the long genealogies of material buildings are typically entangled with the long genealogy of the families that inhabit them. In fact, many monuments were occupied for very long periods, verging on the millennium. Like medieval castles, they
underwent modifications, expansions and reconstructions. In many cases, their life started
as a simple and massive single-tower nuraghe, to which bastions, walls and towers were
gradually added. The growth, decadence and eventual abandonment of nuraghi may be
related to that of the house to which they belonged: as in other house societies, the
biographies of humans and non-humans were tightly intertwined.[..] (1).
Ed è proprio dalla Sardegna della transizione Bronzo-Ferro che proviene,s econdo gli autori, una testimonianza straordinaria della figura del re-pastore: è il famoso bronzetto di Serra Niedda (figura 1): [..] there is a type that stands out and that suggests intriguing connections with our Aegean and Levantine case studies: the ‘Shepherd King’. This is a figure that holds a spear or a staff in his hand and sometimes carries a sheep or ram, which could mean that livestock had become a key strategic resource by that time. The ‘Shepherd Kings’ could have been former ‘Fathers of the House’ who managed to acquire more power and prestige and eventually gain power over entire
communities[..] (1).
Fig. 1. A sinistra: il cosidetto "re-pastore" dal santuario nuragico di Serra-Niedda (Da: Pietra, acqua e metallo: storia e arte in Sardegna, Il Sole24ore, 28.04.2014); A dx in alto: Osiris con flagello e bastone ricurvo, da questa pagina http://www.touregypt.net/featurestories/crooksandflails.htm A destra in basso: Sigillo di Uruk (IV mill. a.C.): prigionieri messi a morte con la lancia sotto gli occhi di un sacerdote-re. Da: Irit Ziffer, 2002, Symbols of Royalty in Canaanite Art in the Third and Second Millennia B.C.E. Bullettin of the Israeli Academic Center in Cairo, 2002, special issue
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L'articolo è stato (ed è) per me difficile, penso anche per tanti lettori che non siano adusi a disquisizioni di antropologia culturale applicate all' archeologia. Ma penso che gli spunti siano interessanti, anche se rimangono largamente ipotetici. Confesso che devo ancora leggermi la parte sulla Greica, che forse è anche la più interessante. Certo mi ha molto colpito l'analisi del ruolo della donna in queste società, da una luce del tutto diversa al termine -molto abusato a mio parere-di società matriarcali o dove le donne avrebbero avuto un potere per il fatto di essere pari o superiori agli uomini. Erano solo tramettitrici di diritti e di potere patrilineare.
Mi ha anche colpito un'altra cosa: gli autori propongono manufatti villanoviani come quello a destra in figura 2, urne -modelli di case, che rivelebbero la "passione" per la casa. Mi ricordano tanto un bronzetto trovato a san'Anastasia di Sardara (fig. 2, sin) (2).
Fig. 2. sin, il bronzetto di Sardara (2); a dx, urna-modello di casa villanoviana Da questo sito: http://art.thewalters.org/detail/9465
Da ultimo c'è una frase che mi ha fatto subito pensare a Monte Prama, all'esperimento degli esperimenti della Sardegna nuragica: "we will review cases where certain houses become more
powerful than others, attain a certain degree of centralization and then vanish before their accumulated power manages to produce a truly monarchic, territorial state." Se l'idea degli autori è corretta e i nuragici erano una "società delle case", una dinastia non poteva durare.
(1) González-Ruibal, Alfredo, and Marisa Ruiz-Gálvez. "House Societies in the Ancient Mediterranean (2000–500 BC)." Journal of World Prehistory 29.4 (2016): 383-437.
(2) G. Ugas, La stagione delle aristocrazie, In: Giganti di pietra. Monte Prama. L'Heroon che cambia la storia della Sardegna e del Mediterraneo, 2012, Fabula ed. pp. 74-104
C'è un dettaglio non di poco sui 'nuraghi': non erano 'case'. Erano simboli religiosi architettonici che riguardavano il divino. Luoghi di culto con sommi sacerdoti e quant'altro ma non abitazioni. Ho l'impressione che gli studi di Gonzalez -Rubal e Ruiz -Calvez per quanto riguarda la Sardegna siano influenzati dalle ipotesi lilliane (durissime a morire) sui nuraghi fortezze -case e poi templi. Tutto, a mio parere, è molto più complicato perché quegli edifici (stando almeno alle testimonianze epigrafiche) sparsi in tutta la Sardegna appartengono a re (pastori quanto si vuole) divini 'santi' ma che non abitavano in quegli edifici. Erano la loro casa dopo la morte, il tempio taurino dove li si venerava in quanto tori (Pittau giustamente, secondo me, ha ipotizzato le nicchie dei nuraghi come luogo delle statue dei re)e santi. Quindi il termine di 'casa' è improprio. E' come chiamare 'casa' una piramide. Il palazzo del faraone è 'casa', con tutte le simbologie del potere, ma non la piramide che come edificio attiene alla simbologia solo del divino e non dell'umano ( basti pensare al fatto che i geroglifici erano realizzati per non essere visti se non dal figlio prediletto defunto e dal Dio padre del defunto). L'accrescimento di potere di cui si parla per le presunte 'case' (i nuraghi) della Sardegna nuragica non riguardava la societas terrena delle 'case' della Sardegna dell'età del bronzo quanto quella divina degli edifici simbolici di un 'altro' mondo che è quello della luce eterna. I tori divini re hanno dimore tra le dimore degli uomini ma una volta morti la loro unica dimora è la luce dove sta il loro padre. Il nuraghe ne era semplicemente il simbolo.
RispondiEliminaNon é in contrasto quello che dici con il concetto di ''casa'' per come é espresso qui, anzi, secondo me é proprio il cuore della questione che potrebbe risolvere le varie opinioni sulle funzioni dei nuraghi. La 'casa' di Giacobbe rimase tale anche quando di case fisiche non ce n'erano. Potrebbe anche non esserci nessuna vera abitazione, il monumento é solo la concretizzazione della ''casa'' come persona morale.
EliminaSì, d'accordo, ma m'è parso che, almeno per quanto riguarda i nuraghi, si siano espressi in senso troppo concreto e economicistico (we will review cases where certain houses become more powerful than others, attain a certain degree of centralization and then vanish before their accumulated power manages to produce a truly monarchic, territorial state) perché quella 'casa' non ha relazione con nessuna altra 'casa'. E' tempio e basta. A meno che tutto non lo si voglia chiamare 'casa'. Perché allora anche Dio ha la 'casa'. Ma significa solo 'sede' senza nessuna altra specificazione. Così la 'casa del sole', la casa del toro ('ab)il padre e la madre). Ma forse sono io che non intendo bene il significato di 'persona morale'.
RispondiEliminaIn quello hai ragione, ho notato anche io che sulla parte nuragica hanno trascurato del tutto o quasi aspetti che non siano concreti o economici. Mi é parso strano; é un po' così tutto l'articolo, ma per i nuragici in particolare
EliminaPerò sul piano dell'organizzazione sociale é intrigante e secondo me c'è da pensarci. Anche alla luce di un certo filo conduttore -Cananei-che tu ha individuato dalla scrittura.
EliminaSono d'accordo sul fatto che nella civiltà nuragica il nuraghe fosse entità materiale del casato divino. Tutto il popolo nuragico faceva parte di questa casa, dal toro terreno figlio del toro celeste, fino all'ultimo dei fedeli che rendeva onore al suo “dio/casa” con un amuleto appeso al collo, fatto anche di sola povera pietra, scritto per lui da un sacerdote scriba. Sotto questo aspetto, non il singolo nuraghe, ma la globalità dei nuraghe è da considerare come una unica grande casa, vista la distribuzione geografica e temporale. Forse per questo Amsicora fu primus inter pares e lottò per rimanere tale; perché il suo unico comandante non era di questa terra e lo statere d'oro che lo ritrae, penso lo dimostri in modo esplicito.
RispondiEliminaUna cosa: attenzione al 're pastore' del bronzetto. Potrebbe essere caricaturale. Come mi paiono 'caricature' altri bronzetti scritti sardi. Il re, per quanto pastore, non porta così al sacrificio o al pascolo un animale. Armato di tutto punto. C'è il dato stridente tra l'umiltà della bestia caprone tenuta a guinzaglio e l'eccellenza del guerriero. Il dato è chiaramente 'ambiguo' e c'è, secondo me, lo scopo di invitare a 'leggere' con attenzione il prodotto 'artistico'. Mi ricorda tanto il bronzetto che mostra un uomo coperto in testa, nelle gambe, nei fianchi con il perizoma e poi...gli fuoriesce al di sotto di esso tutto il coso. Uno gli direbbe 'bello mio, vedo che ti copri; ma se ti copri perché non ti copri?'
RispondiEliminaSenza voler fare il pierino, davvero non comprendo la temerarietà della prima affermazione “Non ci può essere una "società delle case" senza le case”, sia perché rischia di apparire banale dato che si potrebbe teorizzare altrettanto impudentemente che “non ci può essere un società delle foreste senza foreste” o anche che “non ci può essere una società di ferrovie senza ferrovie, di pescatori senza pesatori, di licantropi senza licantropi,” ecc. ecc.
RispondiEliminaPoi mi viene immediata la domanda: ma è un obbligo (naturale, logico, esistenziale) che ci debba essere una società di case? Non se ne potrebbe fare a meno?
Nel secondo capoverso sono enumerate le caratteristiche che una casa deve possedere (o dimostrare?) per essere una persona morale: è pura casualità se sono enumerate le stesse caratteristiche che la legge italiana chiede a un Ente per essere riconosciuto Ente morale con decreto del Presidente della Repubblica?
Manca solamente l'attestazione della mancanza di lucro.
Sarà così anche per la società delle case?
E poi, se “la casa è 1) una persona morale”, per la proprietà simmetrica della logica, la “persona è 1) una casa morale?
Suppongo di sì, perché la cosa non mi torna nuova: le prediche delle Quarantore ci hanno riempito la testa di bambini col fatto che il nostro corpo è il tempio di Gesù o la casa di Dio, specialmente quando facevamo la comunione con l'ostia.
Se la struttura oligarchica della Roma repubblicana era incompatibile con la società delle case, e altrettanto lo era quella Ateniese di uomini liberi (per non parlare delle civiltà palaziali tipo Ugarit e Micene), perché essa società delle case aveva bisogno di case e di competizione fra di esse, si deve pensare che a Roma o a Atene non ci fossero case e mancasse la competizione fra di esse?
Oppure che le case a Roma a Atene mancassero dei tratti comuni elencati, in particolare “la taglia, la complessità, la monumentalità e/o la decorazione” della casa intesi come “investimento, che è anche morale e non solo materiale”?
Allo stesso modo mi sembrano incongrui i tratti comuni distintivi fra i quali spicca, per intuizione sovrumana, la “rilevanza della patrilinearità della moglie”.
Insomma, pur essendo sicuro di sbagliarmi su tutto, ho avuto l'impressione che, trovandosi di fronte a una realtà complessa (lo affermano loro stessi), come un parroco timorato di fronte a un affresco con nudità disarmanti, abbiano steso una mano di tinta per far risaltare ciò che essi pensano di aver capito. Più che un'indagine scientifica, mi sento davanti a un suggestivo responso astrologico dove le case delle società delle case siano senza fondamenta.
Sicuramente è colpa mia che non mi sono spiegata per bene, invito però davvero voi tutti a leggere l'originale, se non altro perchè qualcuno si è preso la briga di analizzare la società nuragica-sbagliando o meno-inserendola nel Mediterraneo.
Elimina"Casa" tra virgolette non è come dire casa senza virgolette: non è un paragone giusto "società delle foreste senza foreste"; casa tra virgolette è più simile a "casato", ma non è proprio la stessa cosa.
Questo di casa tra virgolette è l'unica cosa che ho capito. Se spesso le ho tralasciate è per pura pura pigrizia. Quanto a foreste senza foreste, ti pare che ti volessi spiazzare dicendo foreste senza alberi?
EliminaConvieni anche tu che la dizione "società di case senza case" non può esistere è abbastanza paranoica: fra un poco e mi vedrete, un altro poco e non mi vedrete... questa vince e questa perde ...
Poi leggeremo tutto con calma. Sai, non è meglio affrontare l'anno nuovo dopo aver scaricato il peggio di noi? Dimmi di sì, altrimenti capisco che è no.
Boh! Io anziché il cenone mi son fatta un viaggetto a Ravenna. Questa cittadina ha 8 monumenti inseriti nella lista UNESCO come patrimonio dell'umanità. L'intera Sardegna ha un sito, Barumini. Neppure i nuraghi sono patrimonio dell'umanità. Se guardi quanti ne ha la Sicilia non ci puoi credere.
EliminaA me é venuto il nervoso, anche se devo dire che la gita é stata splendida. Ma perché Ravenna ha 8 siti UNESCO e la Sardegna intera 1? Certo è che storici, archeologi e politici non esitano a mettere in mostra ciò che hanno, l'albergatore stesso ne era orgoglioso, i passanti che abitano lì sono informatissimi. La Sardegna rispetto a certe realtà é come una cassaforte con l'allarme. Se vuoi ha ancora quella chiusura da.. ''società delle case''. É necessario, vitale che della Sardegna si parli a livello internazionale, inclusa la sua storia. Io ol modello lo trovo interessante, certo é un modello e non si può pensare che socialmente sia rispecchiato in modo puro; ma in fondo svincola il nuraghe da una precisa funzione, se ci pensi. L'importante é che il nuraghe ''casa'' ci sia, moralmente e -se ci sono i mezzi-fisicamente.
Converrà anche a me di andare a Ravenna, se voglio volare alto col pensiero.
RispondiEliminaE' importante infatti - conveniente e rassicurante - che il nuraghe esista, anche se poco appare.
Non so quanto volino alto, ma una cosa è certa: in Romagna sanno come si fa turismo, turismo sistema intendo, culturale e non. C'era una cosa stupenda in corso, una cosa che lasciava tutti senza fiato. Non basta la bellezza interna dei monumenti, li hanno proiettati anche fuori, con una creatività straordnaria. http://www.ravenna24ore.it/news/ravenna/0074050-magiche-visioni-del-video-mapping-illuminano-centro-storico-ravenna
EliminaPosso solo immaginare il coro di proteste che una cosa del genere susciterebbe in Sardegna. Come minimo si sarebbe aperte profonde riflessioni per capire se ai nuragici avrebbe fatto piacere o se questo non rischiava di alimentare le derive nazionaliste; oppure, assurdamente, se rifletterebbe la realtà storica.
A ravenna e in tutta la Romagna non se le fanne certo queste domande: la realtà storica sicuramente non viene riflessa, perchè Galla Placidia era una fondamentalista religiosa che non si fermava neppure davanti ad esecuzioni sommarie ed esemplari. Eppure ci ha lasciato qualcosa di straordinario, artisticamente. E la gente oggi lo usa anche per fare turismo. Fanno bene.
Se penso che in Sardegna ci sono i Tori di Luce, per buona parte di Dicembre attorno al solstizio e se penso a come questi spettacoli già lì, a portata di mano da millenni potrebbero essere messi a disposizione di tutti e valorizzati...guarda mi viene un nervoso.
EliminaA chi lo dici! Ma una cosa solo ti dico, cara Aba, se qui non si riesce a capire la 'mitopoiesi al contrario' e la si sa battere, con la consapevolezza che è un becero strumento di analisi antropologica per tenerci sotto il tacco, qui di 'patrimonio' dell'umanità si avrà solo Barumini per l'eternità. E il motivo di quella sua sola presenza si spiega: era un castello medioevale realizzato ad occhiometro di un barbaro analfabeta che si difendeva dagli altri barbari analfabeti degli altri castelli medioevali. Viva Lilliu e vivano, soprattutto, i loro nipotini! I 'mitopoietici' a s'imbesse (al contrario).
RispondiEliminaPurtroppo è così. Non si capisce perchè la valle dei templi in Sicilia sia patrimonio UNESCO, mentre non lo siano la valle dei nuraghi o Monte Prama o Tiscali. Certo ci vogliono dietro storici e archeologi che ne segnalino l'importanza, e la volontà politica di portare avanti la cosa. Mancano l'una e l'altra cosa: perchè la storia e l'archeologia mediamente relega il nuragico a qualcosa di poco più che un dovere professionale, la politica , beh lo sappiamo e non c'è neppure bisogno di parlarne. Ma neppure Tharros lo è; la fallimentare area marina protetta (presa di recente ad esempio paradigmatico di un'area marina protetta che non funziona, pensa un pò!) ha avuto la meglio su un sito archeologico che è straordinario almeno quanto Monte Prama ed avrebbe ancora tantissime potenzialità; se solo si pensa a quanta storia vi si è succeduta.
Eliminail lamento degli archeologi è che non ci sono soldi, che non c'è sintonia tra le Sovrintendenze e l'Università, che la politica e i media non aiutano gli studiosi, che c'è troppa rivalità tra gli studiosi, che sono pochi gli studiosi stranieri che si occupano di archeologia sarda nuragica, ecc. ecc. Tutte balle che nascondono i fatti di un'archeologia che, generalmente parlando, è tapina, pigra, autoreferenziale, gelosa, talora bottegaia, pronta a fare la proscinesi davanti ai poteri forti, arrogante con quelli deboli, invecchiatissima, chiusa e sorda alle novità, incapace del tutto di cogliere il grande ed il bello, di stimolare energie interne ed esterne per far conoscere i tesori dell'isola. Alcuni si sentono 'sardi patres', i divini della sardegna, quando invece sono semplici palloni gonfiati che fanno a gara a chi la spara più grossa. Mitopiesi a nastro! Cara Aba, il quadro della civiltà nuragica è quello che è (e che purtroppo viene recepito dentro e fuori la Sardegna), confuso, contradditorio, fumoso, inconoscibile a tutti i livelli perché rispecchia fedelmente la 'politica dell'archeologia isolana, succube dei poteri che guidano e, soprattutto, controllano. Quante volte ho citato la lettera paradigmatica della Bietti Sestrieri a Sergio Frau! Ci sarebbe da appenderne tutto il contenuto di essa ad ogni cantone della Sardegna! Conta l'Istituto di Storia e Protostoria italiano con il proconsole sovrintendente di turno, mica questa o quella cattedra universitaria! Che vogliono questi Sardi autonomisti? Questi regionali che si proclamano 'nazione'? La politica 'cultura' la facciamo noi mica gli eredi nipoti dei bugiardi mercanti 'punici' testimoni ostili al galantuomo protetto da Cicerone, mica i nipoti di coloro che per secoli hanno rotto le balle alle legioni dei Questori e dei proconsoli, mica gli storici da strapazzo di oggi che sostengono che il Regno d'italia e gli stessi italiani hanno personalità giuridica storica grazie solo alla grande storia dei sardi!
RispondiEliminaIn effetti anche il tempio egizio (presente fin dall'Antico Regno in forme architetotniche meno durature ma sviluppatosi nei grandi complessi dal 1500 a.C in avanti, quindi nel Nuovo Regno), era inteso come "casa del dio".
RispondiEliminaIl tempio greco forse più “laicamente” per il modo tutto greco di avvicinare il divino e l'umano concepiscono il tempio come “casa” e la stessa struttura e tipologia architettonica fu derivata, stando agli storici, dall'impianto del megaron miceneo (che era uno spazio di natura abitativa).
Però, andando a memoria, la presenza di templi o spazi sacri inglobati (o addirittura confusi) dentro l'ambiente domestico può richiamare anche l'esempio di Catal Huyuk.
La cosa che però mi rendo conto sia fondamentale capire - attraverso questo (che leggerò per bene) ed eventuali altri studi che ci sono o verranno – quali evidenze fisiche possono determinare il concetto più ampio, quello “morale”, perché mi pare evidente che non possa assolutamente bastare una “casa del dio” o un “culto domestico” per determinare una “società delle case”.
Quindi qui le differenze hanno un peso notevole e questo fa di questo studio qualcosa di molto interessante.
Lo studio ancora non l'ho letto però mi incuriosisce la presenza di riferimenti ai “megara” sardi e in particolare ai santuari.
Il tema è molto intrigante, anche per la tua 'domanda' in coda al post con riferimento a Mont'e Prama. Già che stiamo su parallelismi, rileggendo Cyril Aldred a proposito del faraone “pastore della terra”, mi colpisce che identifichi questa nuova concezione del faraone dalla unificazione dell'Egitto tra l'XI-XIII dinastia (2150-1990 a.C.), quindi non più, o non solo, come 're-guerriero' come era stato in precedenza o 'eroe nazionale' come sarà successivamente:
“Il re si trovava ora a governare in uno stato feudale in cui era poco più di un primus inter pares, costretto a dividere la propria autorità con i vizir delle province che datavano gli avvenimenti riferendoli ai loro anni di governo, disponevano di un esercito proprio e di flotte di navi, e scavavano la pietra per i loro monumenti, alcuni dei quali erano di grandi dimensioni. Il faraone affermava ora che il dio lo aveva nominato “pastore della terra”, per grantire al popolo salute e prosperità, come un buon pastore che si occupi del proprio gregge. Questa forma di dispotismo paternalistico, che aveva sostenuto alcune province in tempi di carestia e disperazione, veniva ora incorporato nei principi di governo” [Cyril Aldred, Arte dell'Antico Egitto, 2002 (1980)]
Hai messo il dito sulla piaga, e cioè sull'Egitto: tante volte si pensa che l'Egitto e la figura del faraone siano rimasti uguali a se stessi per 3000 anni, ma non è così. E la mancanza di questo articolo secondo me è proprio l'Egitto; ma penso che rimedieranno.
EliminaQuanto ai nuraghi: secondo me è un errore il pensare che se erano dei templi la loro funzione fosse esclusivamente religiosa, per come intendiamo la religione oggi. Potevano servire all'occorrenza anche come...riparo per le pecore, senza per questo perdere la loro connotazione religiosa. Voglio dire la religione espressa dall'edificio nuraghe era la vita stessa -anche in senso concreto e pratico-dei nuragici, per me erano full-immersed. Così come mostra la scrittura.
E' assurdo pensare che ci fossero 10000 chiese. Uno dei meriti di questo lavoro, per come l'ho capito io-ma ripeto mi è molto ostico- è l'apertura verso una "funzione" dei nuraghi che va oltre la funzione immanente (case dei nobili, edifici di controllo del territorio, templi, luoghi in cui si esercitava un giudizio, luoghi in cui si celebravano riti, ripari ecc.) perchè comunque è o simboleggia una "casa"; forse governata in terra da un uomo incaricato da Dio in una struttura frattale e eterarchica.
E se i nuragici avevano davvero quella testa lì, allora ogni tentativo di creare un potere centrale forte era destinato alla lunga a fallire; perchè l'unico potere centrale era Dio. Forse sto solo fantasticando, non so; ma una qualche organizzazione sociale dovevano pure averla