giovedì 15 dicembre 2016

Tarquinia. L’ancora della salvezza e il sostegno della luce di TIN /SOLE e di UNI /LUNA. Il greco - cipriota? Non c’entra nulla. Semmai il semitico nuragico di Barisardo.*

di Gigi Sanna

Fig. 1                                                           Fig.2

    Si  dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da pochissimi.  Pertanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca scritta. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di  questi ultimi.  


L’ancora di Tarquinia si presenta dal punto di vista epigrafico e paleografico assai intrigante. Gli studiosi che di essa si sono interessati sotto questo aspetto (1) ammettono le grosse difficoltà nel dare un senso sia alfabetico che linguistico ai ‘tre’ segni che se da una parte si presentano abbastanza compatibili con il sistema dei segni etrusco, ovvero la presenza di una ‘T’ (ti) e di una ‘V’ (u), dall’altra non lo sarebbero per la presenza di un ‘segno’ alfabetico ad ‘asterisco’ non facente parte del suddetto sistema.

   Ergo, lo studioso G. Facchetti (2), ottimo linguista oltre che epigrafista, punta tutto sul cipriota  sulla base archeologica di possibili influenze culturali storiche dell’isola sul territorio etrusco e, soprattutto, sul dato che l’asterisco come segno è presente nel sillabario cipriota. Se è presente l’uno - questo è l’ovvio ragionamento - anche gli altri due segni potrebbero essere di natura cipriota (3). Non sto a ripetere qui quanto, in modo molto dotto, il Facchetti ricava sia epigraficamente sia, soprattutto, linguisticamente. Anche perché il suo discorrere è quasi del tutto irrilevante per quanto appresso diremo.

   Tradotto in soldoni  - come si dice - lo studioso,  seppure con molta cautela e per ipotesi, ci dice (ponendo in subordine e quasi scartando la seconda):

  1. che  i  segni, letti in un certo modo, ovvero partendo dall’asterisco, potrebbero suggerire un verbo: 'ANSTA' (sollevati!): imperat. aor. dal greco ANISTHMI (νίστημι)
  2. che i segni, letti ancora nello stesso modo,  potrebbero alludere alla divinità A-SA-TA (Astarte < A-SA- TA -TA -RA-TA).

1. Il rebus su basi numerologiche, acrofoniche e ideografiche.     

   Per noi le cose non stanno proprio così dal momento che la lettura dei tre segni dell’ancora va fatta su ben altre basi, certamente insospettabili per gli etruscologi (e non solo): ideografica, numerologica e acrofonica. L’ancora cioè porta una scritta a rebus secondo la predilezione degli scribi etruschi nel realizzare manufatti, soprattutto quelli che attengono alla ‘religio’ dell’aldilà e al culto dei morti. Una predilezione che proviene da evidenti influssi della scrittura delle scuole scribali  nuragiche le quali ugualmente usano il rebus e sulle stesse basi numerologiche, acrofoniche e ideografiche (4).

2. La λοξότης (obliquità, ambiguità) e  la lettura del supporto. Direzione della lettura e i primi due segni.

   Innanzi tutto. Il rebus è annunciato dalla λοξότης (5), ovvero dall’obliquità dei segni, un chiaro avvertimento ‘tecnico’ circa l’ambiguità di essi e quindi sulla non facilità della lettura e del ricavare  senso immediato da essa.  La ‘T’ (il primo segno)  è obliqua, come obliqua  è la ‘V’ (secondo segno) e obliqui infine sono  i tratti del cosiddetto ‘asterisco’. 

   In che cosa dunque consiste la ‘loxoths’ (λοξότης)? Principalmente nell’individuare il punto di partenza della lettura che però non si trova nella scritta, come si potrebbe pensare,  ma nel supporto ovvero nell  àncora posta alla sinistra rispetto ai tre segni che offrono immediata e più evidente  scrittura. Come sempre bisogna però stare attenti alla conformazione del supporto perché da esso, talvolta,  si può ricavare maggior senso. Infatti, l’ancora non si presenta come semplice ma doppia. Il suo significato allora sarà : ancora, sostegno doppio.

    La lettura quindi prosegue a destra del supporto con inizio che è segnalato subito dalla T graffita che è chiaramente il segno più alto (6) se si legge la scritta secondo la linea orizzontale dell’ancora. Detta T è il segno della dentale sorda etrusca ruotata a sinistra di 120 gradi come suggeriscono sia il cerchio sia il triangolo ideali che compongono lo schema numerico - geometrico (del cui  senso vedremo di dire più avanti).

    Il segno da leggersi come successivo  sarà al di sotto della ‘T’ sulla sinistra ovvero la ‘V’ che è una chiara lettera vocalica  dell’etrusco,  resa leggermente obliqua verso destra. Quindi avremo la sequenza TV (consonante 't' + vocale ‘u’). Lasciando momentaneamente da parte il valore del segno ad asterisco ‘ignoto’, detta sequenza desta meraviglia perché ‘TV’ in etrusco, che si sappia,  non vuol dire nulla. Noi però, consapevoli e avvertiti della ambiguità e oscurità dei segni,  dobbiamo cercare di interpretarli: se  TV (tu) non fa parte del lessico etrusco ci troviamo evidentemente di fronte a due segni che devono essere interpretati diversamente, magari separatamente e non come sequenza appartenente ad  una singola voce. Abbiamo detto sopra che la scrittura etrusca, così come quella nuragica è a rebus. Ma abbiamo detto anche, in altre occasioni (7),  che detto rebus non è anarchico in quanto si basa su di un principio ternario di composizione, di un mix scrittorio realizzato attraverso i requisiti della ideografia (si è già visto il significato del supporto), della acrofonia e della numerologia.

3. Il dato acrofonico.

     Sulla base di questa scrittura a rebus convenzionale, alla quale si attengono gli scribi dei santuari (8), possiamo quindi ipotizzare che T + V  possano essere lettere acrofoniche e, ancora, che possano esserlo in senso semplice o doppio perché in etrusco l’acrofonia può essere sia consonantica che sillabica (9). Se essa è consonantica risulta abbastanza agevole comprendere che lo scriba ha voluto ricavare l’acrofonia delle due divinità più importanti dell’etrusco, quella di T(in) e quella di V(ni); comprensione agevolata anche dal fatto che la ‘V’ isolata di Vni, per dire e alludere alla dea,  è sufficientemente attestata nell’epigrafia etrusca (10). Quindi la lettura sembrerebbe proseguire con il nome criptato di TIN e Uni che naturalmente seguiranno alla ‘scritta’ del supporto. Tanto da avere:

                                                Doppio sostegno (doppia àncora) di TIN e di UNI.  

4. Il cosiddetto ‘asterisco’.

   Dopo i due  ‘segni’ di ‘T’ e ‘V’ interpretati su base acrofonica ci resta come ‘rebus’ il segno detto dagli epigrafisti , per comodità,   ad  ‘asterisco’  e interpretato dal Facchetti, come si è visto, come lettera ‘a’ del repertorio alfabetico cipriota.

   Esso su basi non alfabetiche ma ideografiche (che idea dà, che aspetto ha il grafema) offre un SEI perché  presenta una forma  ‘stellare’ (luminosa) di SEI raggi. Ora, si sa che uno degli aspetti fondamentali di TIN e VNI è quello di essere SEI, ovvero TRE + TRE (C + C ). Si è visto come nei coperchi dei sarcofaghi (ma essa è anche delle urne funerarie) la formula d’obbligo (11) è: ATI - C / APA-C CERTO DOPPIO SOSTEGNO (fig.3). Balza subito  evidente che lo scriba gioca sul fatto che ‘C’ risulta sia congiunzione coordinante che numero; gioco che si estende, se ben si considera, anche (e forse soprattutto)  alla somma di ATI + C + APA + C  (3 + 3 + 3 +3) che dà il 12 ovvero il numero della luce (12).                   

fig.3
   

    Quindi possiamo, nella prosecuzione della nostra interpretazione-traduzione della scritta del documento, aggiungere il SEI:
                                                         Doppio sostegno di Tin e di Uni Sei  

5. Il dato ideografico e numerologico. L’  àncora  della salvezza.

     Ma perché, che significato ha, il tre + tre con l’asterisco? E ancora:  cosa significa ‘Sei’ o ‘Tre + Tre? Per quanto riguarda la prima domanda stavolta riteniamo di andare più sul  sicuro perché il ‘sei’  altro non è per gli Etruschi che l’aspetto numerale androgino della divinità. L’asterisco o pittogramma a raggiera  tende non solo a dare i due numeri sacri ma anche a rimarcare l’inscindibilità della coppia luminosa.  Per via indiretta il sei ‘stellare’ o ‘a raggiera’ lo ricaviamo, ad esempio, dalla notissima scritta del Fegato di Piacenza dove le due divinità assieme (l’androgino), le più importanti per gli Etruschi sono ricavate, con ogni probabilità, a rebus  dall’ideogramma a raggiera e non dai segni lineari, così come in altre caselle del documento per altri nomi di divinità (13). Per quanto riguarda la seconda domanda, a nostro parere, il ‘tre’ + ‘tre’ è simbologia astronomico - matematica, che si perde nella notte dei tempi,  per indicare il Sole e la Luna. Infatti entrambi hanno ciclicità ternaria (le fasi lunari mensili e le fasi solari annuali). E’ il comportamento caratteristico dei due corpi celesti, il numero continuo e l’aspetto continuo,  che suggerisce per traslato il nome. Dire tre e dire sole era la stessa cosa e così per quanto riguardava la Luna. E’ forse non è il caso di sottolineare più di tanto che il Sole fosse TIN e la Luna fosse Uni: è uno degli aspetti più conosciuti della simbologia della religiosità degli Etruschi. Quindi TRE + TRE = SOLE + LUNA = TIN + UNI.

     L’interpretazione numerologica ci consente ora di aggiungere non poco di senso alla scritta dell’ancora:

                                                 Doppio sostegno di Tin e di Uni Sole e Luna . 

   Se così è, come crediamo che sia,  allora l’ àncora di Tarquinia non risulta essere altro che l’ancora della salvezza, il sostegno della nave che naviga verso l’aldilà. Senza la ἂγκυρα  e del padre e della madre (APA -C /ATI -C), ovvero dell’androgino celeste, grande è il pericolo di fare naufragio negli scogli e di non arrivare dopo la morte a destinazione, cioè nella luce del padre e della madre divini.

6. Il cerchio e il triangolo. La ciclicità o eternità.

     A questo punto uno potrebbe dire che la scritta con la sua acrofonia, la sua numerologia e la sua ideografia , cioè secondo i requisiti della convenzione scrittoria, ha esaurito il senso. Ma così non è se si riflette ancora sul come lo scriba ha realizzato, sul piano del supporto, i tre segni. Si comprende subito che il ‘come’ non è accidentalità, stranezza o ghiribizzo scribale (14). Un ‘non senso’ o senso poco rilevante. Anche questo è ‘significante’ e pertanto bisogna capire carpendone  il significato.

     Gli studiosi epigrafisti presenti al Convegno concordi hanno parlato  (15) di scritta disposta circolarmente e/o triangolarmente. Entrambe le osservazioni risultano giuste e pertinenti perché risulta macroscopico che lo scriba ha disegnato le lettere sulla base di uno schema di un triangolo equilatero ideale inscritto in un cerchio ideale. Il macroscopico è reso ancor più evidente  dal dato empirico perché, se si congiungono i punti dove i ‘tratti’ delle singole lettere convergono, si ottengono, quasi con assoluta  precisione,  il triangolo e il cerchio suddetti (fig. 4).


Fig.4

   Ma che significato  ha lo schema geometrico nel quale sono collocati i tre segni della scritta? Perché quel triangolo e quel cerchio? Forse per dare semplicemente armonia scrittoria, distanziando con precisione i grafemi? Oppure per semplice lusus circolare della scritta?  L’intento , crediamo, era anche questo ma non quello fondamentale. Infatti, se uno osserva  l’andamento dei segni a partire dalla stessa ‘T’  iniziale si rende conto che lo schema geometrico ha lo scopo precipuo di dare ulteriore senso alla scritta, quella che avremmo potuto ritenere completata. Infatti, la circolarità e i tre punti del triangolo equilatero tendono a suggerire che quei tre segni ( T  V * ) non sono ‘fissi’ ma ‘girano’ di 120 gradi per tre volte per tornare ad essere uguali (v. figg. 5 e 6) . Sono segni in movimento ciclico e suggeriscono, in quanto tali, l’idea sia della luce sia dell’immortalità o dell’eternità di essa. Anche qui il dato empirico può farci capire il senso ovvero quello di ‘Luce eterna di TIN e di Uni Sole e Luna’, reso dal cerchio, dal triangolo e dalla rotazione continua dei segni riguardanti  TIN/UNI sia  come singoli sia come coppia (T + V + TV):

fig.5
fig.6
Il risultato  della triplice lettura (supporto + più schema geometrico + tre segni),  della scritta dell’ancora sarà :

                             DOPPIO SOSTEGNO //  DELLA LUCE  ETERNA //  DI TIN/UNI SOLE/LUNA

     La scritta dell’ancora di Tarquinia quindi si manifesta molto più complessa e pregnante di quello che si poteva immaginare. Non possiede tre lettere alfabetiche ma molti più segni da interpretare. E’ un ‘bel’ rebus e solo con lo scioglimento paziente di esso siamo riusciti ad ottenere il dato della presenza non della scrittura cipriota ma della sola scrittura etrusca; scrittura questa articolata in mix secondo le convenzioni di cui si è detto. L’oggetto àncora allora non risulta essere che un cippo di una tomba di una necropoli o di un santuario (16) adibito al culto dei morti e dell’aldilà e, come si è detto sopra,  un oggetto che magicamente garantisce la via per mare (o attraverso l’oscuro fiume ‘Acheronte’) e il traghettamento dei defunti nella sponda della nuova luce o nella nuova esistenza; garantita questa da parte della coppia luminosa immortale SOLE /LUNA.  L’ancora dunque non sorprende come significato: così come il  sarcofago, garantisce, anche e soprattutto attraverso la magia della scrittura ‘nascosta’, difficile e ignota,  e quindi  non soggetta a ‘malocchio’ (17),  il sostegno sicuro, in virtù della luce della coppia materna e paterna, nella buia via delle acque verso la luce.                                    

7.  Un particolare ancora.  Il numero tre e i I tre alfabeti (e le tre lingue).

      La lettura dei coperchi dei sarcofaghi offre, come si è visto, la formula prevalente  ati c apa c certo doppio sostegno’ (v. fig. 3 e figg. 7 -8) . Detta formula viene ottenuta, soprattutto, attraverso l’acrofonia. Ma acrofonia di due lingue e non di una sola: a-pex, ti-tulus, a-llex, pa -tena, pa- pyrus, k- entrum, k- ithon, ecc. sono voci latine e greche più il risultato dell’acrofonia che rende lessico etrusco e cioè apa - c /ati – c.    Quindi  la composizione a rebus del codice metagrafico è resa, per ossequio al numero sacro,  con tre lingue. Se si nota, anche il testo che abbiamo esaminato (tutto il testo, compreso il supporto) denuncia questo rispetto per l’ essenza della divinità: i tre segni, i tre ‘segmenti’  di lettura, il tre + tre ideogramma ‘asterisco’, la ternaria rotazione dei segni. Riprendendo ora i detti segni della scritta teniamo ben presente  un particolare: che essi sono tre ma che le lettere alfabetiche sono due. Ciò è molto importante sul piano significativo perché gli etruschi  facevano netta distinzione tra segno e lettera alfabetica. E questo è il motivo per il quale sinora abbiamo fatto la distinzione terminologica segno - lettera. Questa differenziazione è testimoniata, in modo chiarissimo, dall’agglutinamento di una o più ‘lettere’  che danno una certa quantità di ‘segni’, frequentissimo nella scrittura nuragica (18).  Come si spiega allora l’aporia delle due lettere alfabetiche in un contesto scrittorio attinente alla ‘religio’ dove il tre  per convenzione è d’obbligo? Dove ‘tutto’, si può dire, è tre? Magicamente tre? La spiegazione, secondo noi, sta nel fatto che i due ‘segni’ diventano ciascuno tre perché essi fanno parte di tre alfabeti di tre lingue diverse. Infatti, la consonante ‘T’ e la vocale ‘V’ sono per forma contemporaneamente segni alfabetici dell’etrusco, del latino e del greco. Sono segni simbolici che notano sempre, nei tre codici linguistici, lo stesso suono. E se diventano ciascuno ‘tre’ vorrà dire che essi assieme sono SEI così come SEI sono nell’ideogramma ‘asterisco’. E’ evidente allora che nella ciclicità, simbolizzata dal cerchio,  le lettere ‘T’ e ‘V’ in movimento rotatorio diventano, con lusus raffinatissimo (19), TRE + TRE  a cui segue il SEI dell’ideogramma asterisco.  E in ultima analisi a girare ciclicamente sono il Sole e la Luna  distintamente ma ‘anche’ il sole e la luna assieme perché entrambi formano la stessa luce (il 12) eterna (fig. 9).             

Fig.7
Fig.8 
                            



Fig.9


8. La prova del ‘nove’  nuragica. L’ àncora di Barisardo.

   Alcuni anni fa (20) rendemmo pubblica la notizia di un ritrovamento di un’ àncora particolare  in agro di Barisardo contenente dei segni arcaici di scrittura (21), riconducibili per codice a quello nuragico di ispirazione ‘protocananaica’. Nell’interpretare la scritta della pietra composta da tre segni  ‘protocananaici’ (v.fig.2), più il supporto in basalto, sostenemmo che la traduzione del ‘serpente (lettera pittografica del ‘nun’ con valore polisemico) + la ‘lamed’ agglutinata per ‘nesso’  + la lettera ‘he’,  era:  l’ àncora è forza, sostegno della luce immortale di Lui/Lei (la divinità sarda, ovvero l’androgino YH’).  Anche nell’ancora sarda dunque (ben prima ancòra che si conoscesse e si potesse interpretare da parte nostra questa di Tarquinia, risultava per noi essere presente una scritta alludente alla ‘salvezza’ nell’aldilà per mezzo di una coppia luminosa immortale.  Due oggetti quindi uguali (fig.10)  per contenuto, anche se non  identici per forma di ‘ancora e per uso dei significanti (22). In entrambi si parla della stessa cosa: di un’àncora di salvezza, di un sostegno protettivo da parte di una coppia luminosa immortale di androgini, ovvero Y/H e T/V.

Fig.10

Come si vede la scoperta del frammento dell’ancora di Tarquinia porta ulteriore luce interpretativa epigrafica a quella dell' àncora nuragica di Barisardo, così come questa arreca luce a quella etrusca di Tarquinia. Infatti, non si era afferrato da parte nostra (né si poteva neppure sospettare con le conoscenze di allora) il senso completo del segno a ‘hē’ protocananaico in forma di ‘tridente’. Oggi noi apprendiamo che esso non è altro (v. fig.11) che il misterioso e imbarazzante asterisco dell’ancora di Tarquinia. Infatti, la ‘E’ ‘protocananaica’, ruotata maliziosamente dallo scriba sardo di 90 gradi verso il basso e a destra,  risulta essere il ‘SEI’ riportato in simboli numerici nuragici (23). Quindi sia l’ancora di Barisardo che quella di Tarquinia mostrano il SEI finale della scritta attraverso uno schema che, anche se diverso (stellare l’uno e a tridente l’altro), tende a suggerire quello che di fondamentale c’è nella divinità delle due religioni di ispirazione astrale soli - lunare: l’inscindibilità della coppia TRE/TRE luminosa. Suggerisce il concetto del dio che è unico ma è padre e madre assieme (apa/ati e ’ab/ ’am אב אם) tanto caro  agli scribi nuragici e a quelli etruschi. La divinità è sempre una luce anche se le fonti luminose, ‘maggiore’ e ‘minore’,  che danno la vita del mondo sono due (Genesi; 14: 18).


F.11
                                                                                                                                                                            
9. Conclusioni
    Riteniamo,  a questo punto,  che l’interpretazione circa il significato di  appoggio o sostegno  salvifico (24) di Tin/ Uni (o forse T/U) riguardante l’ancora doppia non possa lasciare alcun margine di dubbio. Ma riteniamo anche che nessun dubbio possa esistere su quanto andiamo dicendo e non da oggi: che la ‘religio’ nuragica e la scrittura sacra dei nuragici, espressione esclusiva  di quella, hanno dato un notevole input al modo di intendere concettualmente la divinità etrusca, la coppia luminosa TIN/UNI e allo stesso modo di rappresentarla attraverso i ‘segni’ e le regole che, per consolidata convenzione di secoli e secoli, presiedono a tale rappresentazione. L’ acrofonia, la numerologia e l’ideografia, stante la consistenza documentaria (25),  risultano ‘convenzioni’ della scuola scribale sarda che consentono l’impiego del codice in modo molto vario e assai fantasioso, sfruttando il lusus del rebus che può essere semplice ma anche molto complesso. Pertanto, data la spinta notevole della (evidentemente) rinomata scuola dei ‘geroglifici’ o segni sacri usati dai Sardi, è facile arguire che i santuari etruschi si impossessarono abbastanza presto (26) di esso e che,  variandolo, quando necessario, per motivi soprattutto linguistici (uso di una lingua indoeuropea e non semitica), seppero creare dei rebus affini molto raffinati, su alcuni  dei quali speriamo di poter riferire e dire molto presto. Abbiamo dunque potuto toccare con mano e fornire prove, che riteniamo più che sufficienti, per poter affermare che sia la scritta dell’ àncora e sia l’àncora di per sé (supporto) di Tarquinia costituiscono un rebus; rebus ben congegnato e insospettabile per pregnanza pur nell’apparente semplicità della composizione della scritta. Con questo ulteriore sforzo  speriamo di aver fatto capire che per afferrare il valore epigrafico, paleografico nonchè culturale di certi documenti sul piano del culto religioso nel Mediterraneo, bisogna andare ‘oltre’. Al fine di ‘leggere’ quello che sembra non esserci  ci sembra sempre più necessario  impossessarsi di approcci ermeneutici nuovi,  più ‘aperti’ e  allontanare ‘pregiudizi’ (fenicio centrici, greco centrici o romano centrici) circa il modo di usare la scrittura delle civiltà antiche, ivi comprese quelle ‘occidentali’ sarda ed etrusca. Infatti, la scrittura etrusca, così come quella nuragica, espressione solo di santuari e di scribi sacerdoti e non di ‘economie di città’, è sacra, è espressiva più che comunicativa;  è agli antipodi di quella degli alfabeti standard ‘storici’ fenici, greci e romani. Ripetiamolo ancora una volta: essa non tende alla chiarezza e alla velocità comunicativa, ma, al contrario, a farsi capire solo gradualmente perché oscura, spinosa, manifestamente respingente se non per una cerchia ristrettissima di persone. I ‘segni’ , a parte l’uso strumentale dettato dalla superstizione , sono segni del Dio, inventati per gloria sua e non possono essere ‘usati’ comodamente e disinvoltamente da chiunque, per scopi non pertinenti.  Questo, secondo noi, è dunque il motivo per cui, con la ‘scuola’ rigidamente comparativistica - formale, attualizzante, adagiata su versanti solo o soprattutto ‘economicistici’, per quanto dotta possa mostrarsi ed encomiabile per rigore filologico, per quanto ‘specialistica’ e ferratissima in diverse discipline, non solo non si è capita la genuinità ‘etrusca’ e la forza del documento a rebus di Tarquinia, ma si è andati quasi d’obbligo (e si direbbe ‘con  fatalità’) a cercare inesistenti lettere ‘cipriote’ e  ‘lingua greca’. Come non rendersi conto allora che nella storia della scrittura del Mediterraneo c’è tutta una enorme produzione ed ‘espressione’ di scrittura ‘altra’? Una scrittura  quasi impensabile, metagrafica e per nulla o poco  epigrafica (in mix metagrafico - epigrafico), del tutto inesplorata (se non l’egiziano) e pertanto destinata a rimanere dimenticata e polverosa?  A che serve il timore (quanti me lo dicono e anche lo scrivono!) e spesso il terrore di ciò che si giudica avventuroso, temerario e sdrucciolevole? Scivolare’ (più volte e anche tante volte) è tipico della scienza tosta, di qualsiasi tipo di scienza che non intenda percorrere  inutili  ‘calpestati sentieri’, comodi  e privi di sassi. Senza bende e cerotti si può dire che essa non esista.

Note e indicazioni bibliografiche
1.  V. Facchetti G.M. e Bagnasco Gianni G.;  in AA.VV., 2015. Un’ancora nel pianoro della civita Tarquinia. Atti della giornata di studi. Tarquinia. Sala del Consiglio Comunale (12 Ottobre 2013). Aristonothos. Scritti per il Mediterraneo antico. Vol. 10. TANGRAM EDIZIONI SCIENTIFICHE. Introduzione di Giovanna Bagnasco Gianni e saggi di  M. Bonghi Jovino, G. Bagnasco Gianni, G. M. Facchetti, L. Fiorini, L. Drago, F. Avilia, M. Negri, F. Cordano, M. G. Amadasi. 
2.  Facchetti G.M., L’ancora di Tarquinia. L’iscrizione; in AA.VV., 2015. Un’ àncora nel pianoro, ecc. cit. pp. 57 – 64.
3. Facchetti G.M., L’Ancora di Tarquinia. L’iscrizione; in AA.VV., 2015. Un’ àncora nel pianoro, ecc. cit. p. 58.
4. V. di recente Sanna G., 2016, Il NURAGHE? UN BRONZETTO CI DICE COS’E’. CHE COSA? UN …NUR -’AG - HE; in maimoni blogspot .com (16 novembre).

5. V. Sanna G.,  2014,  Giochiamo a dadi e impariamo l’etrusco. I 'dadi enigmatici' (kύboi loξoί) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio circolare delle 'parole-immagine a contrasto' e dei 'numeri alfabetici' dei dadi di Vulci; in Monte Prama blogspot.com (8 novembre); idem,  2016,  Antiquarium arborense di Oristano. La tarda scritta nuragica tharrense della luce salvifica per il figlio (non nominato) di Yhwh. Il 'segno' complesso della λοξότης (obliquità); in Maimoni Blogspot.com (26 gennaio).


6. Si sa che è il primo segno a destra a formare, per norma, la direzione della scrittura etrusca che è pertanto ‘retrograda’ o destrorsa. Ma ciò accade quando le lettere e i segni sono disposti su di una stessa linea immaginaria. Nella lettura dei coperchi dei sarcofaghi invece l’andamento è circolare, dall’alto verso il basso e sempre antioraria. La formula beneaugurante e di tranquillità per i defunti è  ati c apa c (o apa c ati c) certo doppio sostegno. La prima acrofonia ‘aspettuale’ data dall’a-pex (ornamento) è resa sempre con il segno più alto (solitamente collocato sulla destra di chi osserva la singola  persona o la coppia donna uomo o uomo donna). Ad essa segue quella del ti-tulus che il più delle volte è una corona (v. figg. 3 -7 -8). La lettura del segno più alto è in perfetta sintonia con il codice metagrafico dei bronzetti (ma non solo) nuragici che sono rigorosamente scritti attraverso la numerologia, l’ideografia e l’ acrofonia (anch’essa in genere aspettuale). In essi la prima lettera, ma consonantica, dato il diverso codice linguistico, è la più alta e corrispondente in genere all’ornamento o apex dell’etrusco. Ad es. le numerose statuine che mostrano il cappello di ‘ornamento’ e di ‘distinzione’ (hdrh הדרה) danno tutti l’acrofonia ‘h’ così come i coperchi dei sarcofaghi danno la ‘a’ di a - pex.  Dopo apa - c la lettura svolta verso destra facendo capire che la formula è trimembre:  Sarcofago/ e della madre e del padre/ certo doppio sostegno. Ci sembra evidente che la circolarità della lettura della formula tende  a dare il senso del ‘ciclico’ e quindi dell’immortalità della coppia celeste. E’ la stessa circolarità che vedremo più avanti  nell’interpretazione della scritta dell' àncora.          


7.  Sanna G., 2014, Il nome di Tharros (Tharrush) in un’iscrizione nuragica, etrusca e latina del III – II secolo a.C. Un LARS di nobile origine etrusca ‘curulis’ di Roma in Sardegna; in MontePrama blogspot (27 aprile); idem, 2014, Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi, II;  in Monte Prama blog (10 dicembre); idem, 2014,  Giochiamo a dadi e impariamo l’etrusco. I dadi enigmatici (κύβοι λοξοί ) di TIN e di UNI. Il gioco combinatorio, ecc.  cit.; idem, 2014, Stele di Avele Feluskes, I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L’acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell’etrusco dal nuragico, II, in Monte Prama Blog (28 novembre); idem, 2015, Cerveteri. L’iscrizione (IV secolo a.C.) del cosiddetto ‘pilastro dei Claudii’. LARIS AULE LARISAL figlio di TIN/UNI. Il linguaggio dei numeri nuragico ed etrusco. I documenti di Crocores di Bidonì e di Nabrones di Allai (III); in Monte Prama Blog (11 gennaio). 


8. La scrittura etrusca è esito, così come quella nuragica , di insegnamenti di scuole che stavano presso i santuari più celebri. Sono gli scribi sacerdoti che, profondi conoscitori dei codici mediterranei (e non solo) di scrittura sia in sincronia che in diacronia, inventano ed elaborano, si direbbe ‘nazionalisticamente’, una loro scrittura espressiva. Non è un ‘pater familias’ o un pedagogo che insegna a scrivere ‘laicamente’, come si farebbe per il greco e il latino,  ma tutta una scuola ‘religiosa’ che applica delle norme, interne o di provenienza esterna, che  vengono rispettate da tutti .


9.   Sanna G.,  2014, Stele di Avele Feluskes, I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L’acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell’etrusco dal nuragico, II, in Monte Prama Blog (28 novembre).

10. V. Bagnasco Gianni G., 2015, Il ceppo d’ancora del ‘complesso monumentale’ di Tarquinia. Prima edizione, in  Un’ancora nel pianoro della civita Tarquinia. Atti della giornata di studi, ecc. (p. 44): ‘Queste V rinvenute isolate sono chiaramente riconducibili all’iniziale della dea UNI, epigraficamente documentata sia come Uni sia come Xia e difficilmente spiegabili con il numerale 5’.
      Ora,  iniziale della dea Uni vuol dire semplicemente ‘acrofonia’. Se questa acrofonia fosse presente anche per la ‘ T’  di TIN/TINIA noi non sappiamo,  ma è presumibile che essa lo fosse nella scrittura criptata etrusca;  non fosse per altro perché la coppia TIN/ UNI è scritta o è raffigurata, in vari modi, come inscindibile. La presenza di un segno necessita della presenza dell’altro. A meno che nel tardo etrusco, per motivi religiosi che non è dato sapere,  il concetto della inscindibilità dell’androgino venga a indebolirsi a vantaggio del culto della Dea. Se così fosse è evidente che l’acrofonia T/V di TIN/VNI porterebbe a ritenere non molto recente la scritta che, archeologicamente sembrerebbe invece  datarsi alla fine del VI secolo a.C.  Sarà opportuno però sottolineare, come supporto di non poco conto all’ipotesi di una presenza acrofonica di Tin, che nel nuragico il nome della divinità androgina YH si trova acrofonicamente resa (in particolare in forma di asta verticale o obliqua), in documenti di bronzo e in ceramica, con il solo grafema della  ‘yod’.     

11. Detta formula subisce solo poche variazioni non tanto nel contenuto quanto nella forma. Cioè sono i significanti che variano e non i significati. Per esempio il nome ‘padre’ (apa)  seguito dalla ‘C’, congiunzione e numero nello stesso tempo,  può essere variato ricorrendo alla ‘patena’, al ‘pollice’ e al ‘centro’ del piatto oppure  al pollice + papiro +  certificato. V. Sanna G.,  2014, Stele di Avele Feluskes, I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L’acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell’etrusco dal nuragico, II, in Monte Prama Blog ( 28 novembre).
12.  Il 12 (i mesi soli - lunari) o il cerchio che notano la luce sono i segni più ricorrenti del nuragico. Sanna G., 2016,  Scrittura nuragica. I numeri dall’uno sino al dodici. Il loro valore simbolico convenzionale nei documenti della religiosità. L’iterazione logografica sulla base di quel valore, in Maymoni blogspot . com (2 luglio).
13. Bouke van der Meer L., 1987, The bronze liver of Piacenza. Analysis of a polytheistic structure, Amsterdam: J.C. Gieben, 1987.
14. Se c’è una cosa che insegna in particolar modo l’epigrafia nuragica  (e quindi l' etrusca)  è quella di stare attentissimi a tutto, anche ai minimi dettagli di una scritta. Talvolta è una linea di scrittura disposta con quattro segni in incipit e con quattro segni alla fine, come nella stele di Nora, a dare più significato oppure, per restare nello stesso documento, la centralità di un segno forte come la ’leph (il bue, il toro) collocato nel centro preciso della scritta. Talvolta è la collocazione particolare, la precisione geometrica dei segni collocati nello spazio, a suggerire altri segni ancora, magari un animale (un uccello, un toro) o un edificio di culto (il nuraghe, la tomba di Giganti, il pozzo sacro). I minuscoli sigilli bronzei di Tzricotu di Cabras sono un esempio raffinatissimo di scrittura con dei dettagli tutti fortemente significanti. Anzi si può dire che quella dei documenti del Sinis sia la scrittura del ‘dettaglio’. A distanza di tempo dai primi nostri studi (2004,  Sardōa Grammata,’ab ‘ag sa ‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’Alvure ed.,  IV,  pp.83 - 179) i quattro sigilli non si stancano ancora di ‘comunicare’ , grazie alla (graduale) scoperta di  impercettibili allusioni poste in essere dagli scribi, veri e propri maestri del rebus.
15. Bagnasco Gianni , o.c. p. 44;  Facchetti, o,c. p.58.
16.  Per il ‘complesso monumentale’ v.  Bagnasco Gianni G., 2015, Il ceppo d’ancora del ‘complesso monumentale’ di Tarquinia.ecc. cit. p. 46.
17.  I talismani e gli amuleti apotropaici, in materiale vario,  sono assai frequenti sia nella cultura ‘religiosa’ della civiltà nuragica sia di quella etrusca. Talora nelle tombe etrusche si trovano oggetti ‘protettivi’ sia etruschi che nuragici. Essi però  generalmente vengono intesi  come simbolici e ornamentali, oggetti di prestigio sociale che arricchiscono il corredo mortuario, quando invece risultano tutti scritti. E’ la scrittura e solo essa che può garantire la forza apotropaica dell’oggetto perché questo si può vedere ma non capire. La formula misteriosa in esso riposta, non leggibile e intraducibile, è lo scopo principale che spinge lo scriba a produrre una scritta a rebus così sofisticata come quella dell’ancora di Tarquinia. Se uno fosse in grado di leggerla  annullerebbe la magia di essa e potrebbe essere in grado di rendere vano il desiderio del defunto di tornare a nuova vita. Come esempi molto belli e interessanti di amuleti, anche molto preziosi, dato il metallo (bronzo e oro) possiamo fare quello della piccola ‘pelle di bue’ di Sedda ‘e sos Carros di Oliena (v. Sanna G.,2015, Complesso nuragico di Sedda 'e sos carros di Oliena: scudo bronzeo nuragico in miniatura (Lo Schiavo, Fadda). Sì, ma la scrittura? E il significato?; in Maymoni blogspot.com (22 giugno)) e quello  dell’amuleto aureo di Bolsena custodito nel Museo del Louvre di Parigi.
18. V. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro, pp. 89 -109.
19.  Il lusus continuo e le ‘variazioni sul tema’  sono indizio evidente della presenza di scuole santuariali etrusche in contatto con quelle nuragiche che addestravano i giovani allievi sacerdoti a non ripetere pedissequamente le formule riguardanti la forza e la grandezza delle due divinità. Del resto la ‘variatio’ era elemento non solo di ingegnosità nello scrivere ma anche di consapevolezza di dover tenere sempre nascosto  il dato scritto. Quindi la varietà formale dei coperchi dei sarcofaghi si spiega non solo con l’arte fine a se stessa ma anche con lo scopo di non rivelare la scrittura con i suoi significanti, rendendola banale e ripetitiva.

20.    V. Sanna G., Una stele nuragica da Barisardo. In protocananaico; in gianfrancopintore blogspot.com (22 aprile).

21. V. fig. 2. La scritta, con lettere arcaiche di chiara tipologia proto sinaitica - protocananaica  (di cui due in legatura), venne, si può dire,  ‘liquidata’ dall’archeologo Raimondo Zucca come composta dalle lettere latine S + L + E  (v. Zucca R., 2012,  Storiografia del problema della scrittura nuragica, in Bollettino di Studi Sardi n. 5, Dicembre).  Lo studioso pensò, girando l’ancora e leggendo in modo non certo  ‘naturale’ e organico (rispetto alla verticalità dell’uso dell’oggetto),  ad una sigla di un qualche nome di persona. E’ inutile dire che prese un abbaglio colossale, del tutto simile a quello della barchetta dell’Antiquarium arborense di Oristano (v. Sanna G., 2010, Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi; in gianfrancopintoreblogspot. com (16 gennaio), nella quale scambiò lettere pittografiche del protosinaitico/protocananaico per una sigla (addirittura!) in lettere romane di un presunto proprietario della barchetta: S(extus) N(i)P(ius) al posto del semitico  nachash + nun + resh.  Anzi, non si rese conto che si rendeva recidivo nell’errore interpretativo epigrafico -paleografico in quanto il tenore della scritta dell’àncora di Barisardo, stante i segni del medesimo codice, risultava del tutto identico a quello della barchetta (per altro ripetuto due volte): nachash + nr + he: luce immortale di lui .

22.  V. nota 19.

23. Sanna G., 2016,  I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio dell’epigrafia nuragica, ecc, cit., V, pp. 111 -133.


24. Su questo significato ‘possibile’  v. Bagnasco Gianni, cit. p. 46 : ‘’…come altrove considerato tuttavia il particolare impasto di senso che questo tipo di viaggio comporta apre alla possibilità che si tratti di un messaggio di carattere escatologico, difficilmente scollegabile dalla sepoltura dell’uomo di mare sacrificato, accanto al quale il ceppo venne ritrovato, nonostante intercorrano due secoli tra i due rinvenimenti’’

25.  Attualmente i documenti epigrafici nuragici sono oltre 300. Quelli metagrafici sono, ovviamente, incalcolabili. V. Sanna G., 2016,  I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio ecc., cit. pp. 27 -37.

26. La lapide mortuaria di Avele Feluskes, con chiari influssi della scrittura a rebus nuragica,  viene datata fine VIII secolo a.C.  Forse a quel periodo o al massimo alla fine del IX secolo a.C. può essere fatto risalire il codice, simile ma non uguale, adoperato dagli scribi dei santuari etruschi.  Ciò che colpisce, mentre si va avanti negli studi e nella ricerca, è il fatto che gli Etruschi (probabilmente anche con ‘scribi’ sardi nei santuari) non sembrano riprodurre scrittura adagiandosi con comodità sui modelli sardi. Presero molto della scrittura nuragica ma proprio per questo imitarla appresero anch’essi il gusto della ‘variatio’ formale. Ad esempio la formula riguardante TIN/UNI restò nel corso dei secoli sempre uguale ma è difficile trovare un sarcofago e meno ancora i coperchi dei sarcofaghi del tutto uguali. Tanto per fare un esempio,  lo stesso ‘sarcofago degli sposi’ custodito nel museo del Louvre  è diverso da quello di Cerveteri. 



   * Il presente articolo non vuole essere altro che una breve anticipazione di quanto pubblicheremo nel n.69 di  Monti Prama. Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi diretta oggi dal prof. Gian Matteo Corrias.   

3 commenti:

  1. Vengo fuori dalla lettura del tuo Post tranquillamente frastornato, oltre che ammirato per la tua capacità rebusistica (si potrà dire?), ormai sapresti anche costruirli quei rebus di scrittura religiosi in cui si dice quello che non si potrebbe dire, ma lo si dice comunque in crobetanza, perché lo capisca solamente Lui, o Loro, il che equivale a dire che non si è detto nulla.
    Ora che ti sto allenando a capire quello che è difficile da capire anche per me, dichiaro apertamente che, da amico come sono e mi considero, sono ampiamente preoccupato per la tua anima.
    Mi spiego, altrimenti non approdiamo a nulla, come la Raggi in Campidoglio: se le formule che tu ci sveli sono religiose e segrete, non ti sembra che, a disvelarle, stia compiendo un sacrilegio? Almeno agli occhi degli antichi scribi-sacerdoti?
    Mettendo l'ieri per l'oggi - o l'oggi per ieri, non so bene, comunque non sono sicuro, mi sono appena alzato - non ti pare che queste asserzioni ieri nascostamente scritte possano essere il corrispondente a ciò che oggi noi qui chiamiamo dogmi o anche misteri?
    A parte che i dogmi mi fanno l'effetto di una puntura di ape sulla palpebra, sai che i misteri mi affascinano, ma solamente sino a che rimangono tali.
    Ecco che trovo in te, e nel tuo modo di fare, una importante discrasia o, meglio sarebbe a dire incongruenza, perché rinneghi il principio stesso di esoterismo, in quanto le lezioni e le informazioni più scientificamente approfondite erano riservate, da Aristotele in poi, a un numero ristretto di discepoli e non a tout le monde, come dicono a Sampierdarena, echeggiando le parisiennes.
    Ora ti starai chiedendo: perché costui mi dice queste cose sbarellate?
    Eh, - ti rispondo - fai bene a chiedertelo!
    E se tu approdassi a una risposta, ti prego di fornirmela in via riservata, ma non a rebus.

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  2. Certamente quello che qui si sciorina, probabilmente secoli addietro sarebbe stato causa di grossi guai, e lo sarebbe anche attualmente se il testo interpretato non fosse scritto a rebus in caratteri tipo “mix-nuragico”, ma in scrittura altra mediorientale ed il dio in questione non fosse di a qua, ma di a là.

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  3. A tutto il mondo? O Fra', scidadindi. Mancai su mundu si frimat a Francesco Masia (immoi, comenti narant i sardus, mortu in Libia). Tui e Aba, Aba e Tui e Sandru. Custu est su mundu nostu. Calincunu nat chi sa cosa non esta aici. Ca du at una maggiornatzia silentziosa. At essi puru ma a imi parit maggiorantzia cagamudandas! Ohi, ohi Aristetele!

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