dedicato a Sergio Frau (*)
Premessa
Più volte (1) ormai abbiamo sottolineato, con riscontri oggettivi che abbiamo ritenuto pertinenti e inconfutabili, il prestito della crittografia agli etruschi da parte dei nuragici. Lo stilismo e la magnificenza dell’arte scultorea greca delle opere etrusche mascherano notevolmente l’ideologia comune della luce terrena e ultraterrena e solo una puntuale osservazione dei manufatti permette di capire che dietro l’opulenza greco - etrusca c’è il system, diverso ma ugualmente assai pregnante, che dà luogo alla realizzazione e alla rappresentazione della religiosità degli ideatori e costruttori dei nuraghi. Chi ritiene che le opere dell’arte etrusca siano semplice espressione di simbolismo e di decorativismo non continui questa lettura: il pregiudizio di anni e anni (secoli ormai) di interpretazione è una ganga difficilmente rimovibile da ciò che sottostà, ovvero dalla ‘cosa’ più nascosta e per questo assai più preziosa.
Neanche il riferimento all’arte egiziana che nella scrittura - com’è noto - contemplava decus, symbolum e sonus, cioè tutti e tre gli aspetti (2) e non solo due lo indurrà a pensare che il sonus, soprattutto questo, sia presente negli oggetti, nelle tombe, nelle pitture della vastissima arte funeraria etrusca. Il ‘codice’ funerario posto in essere dagli Etruschi, quello di cui tanto si parla da parte degli studiosi perché si insista e si moltiplichino le forze per una sua ‘decifrazione’, resterà un codice per sempre inafferrabile perché né il decus né la simbologia (con l’eterna domanda senza risposta scientifica: ‘di che cosa’ o ‘di chi’ una ‘cosa’ è simbolo?) permetteranno di capire nel profondo il messaggio insito in tanta varietà di componimenti. Una‘unda currens’ sarà così sempre decorazione, così come lo saranno un motivo floreale ripetuto, dei dentelli ripetuti, delle pieghe ripetute di un chitone, dei punti reiterati, un serpente o una fontana da cui sgorga l’acqua continua. Mai ci si chiederà cosa accomuna quelle ripetizioni, quei dati topici. Una patera (patna) sarà sempre decorazione e simbolo di libagione, un anello sigillo sempre decorazione e simbolo di prestigio sociale, uno o due cuscini segno di altezza sociale e di funzionalità per i nobili gomiti di chi sta sdraiato sul triclinio. E così via. Mai ci si chiederà se quegli oggetti possano costituire dell’altro ovvero degli ideogrammi da abbinare ad altri ideogrammi ancora, in una organica catena sintattica di voci che possano dare senso. E così, procedendo nell’analisi di superficie, depistante e ingannatrice, tutto resterà muto o al più opinabile (io penso, tu pensi, egli pensa) con i famosi fiumi d’inchiostro, che si aggiungeranno ad altri fiumi nel tempo, per i vani tentativi di risoluzione del rebus. Sembra proprio essersi dimenticata del tutto l’esperienza ottocentesca per la scrittura egiziana o quella novecentesca della scrittura maya dove tutti si puntava sulla mera decifrazione della simbologia e non della fonetica ritenuta, tra ironia e sarcasmo, tra ilarità e supponenza, del tutto inesistente.
Analisi del bronzetto di Grizzana
Vediamo oggi se dall’analisi puntuale del manufatto di Grizzana (ma non sarà certo questo
l’ultimo documento etrusco che porteremo all’attenzione degli studiosi) la
scrittura metagrafica è presente e può farci fare dei passi in avanti sulla
decifrazione non solo del bronzetto in sé (che ‘cosa’ esso sia) ma dell’intero
codice funerario etrusco di cui si è detto.
Il bronzetto, raffigurante un atleta dalla muscolatura vigorosa ed
esuberante, si presenta con le seguenti ‘decorazioni’ (3) che permettono di affermare che esso è esito artistico di un artigiano
colto e capace anche di variare temi e aspetti presenti nella bronzistica
etrusca, soprattutto nell’iconografia funeraria delle urne e dei sarcofaghi.
a) Un copricapo con corona decorata con motivo a zig - zag
b) Un ‘cingulum’ con il decoro di un motivo
serpentiforme (4)
c) Un κάλυμμα sostenuto dal ‘cingulum’ e dal braccio sinistro
d) Una decorazione ad onda continua sull’orlo inferiore
del κάλυμμα
e) Una ‘patna’ ornata all’interno con una serie
reiterata di punti
Ma si
presenta anche con i seguenti tre gesti o movimenti del corpo:
a1) Con la mano sinistra manifestamente ben aperta,
preceduta dalla serie di pieghe del κάλυμμα , formate dal lembo che si restringe
per l’accostamento del braccio verso il corpo
b1) Con le gambe che simulano il passo e quindi
l’andare e/o il procedere
c1) Con il braccio destro nell’atto del sollevare la ‘patna’, distenderla e curvarla (5) verso il basso.
Elementi decorativi sono
ancora il fregio con sei linee ondulate che si dipartono dal ‘pronunciamento’
del sesso sottolineato sotto il κάλυμμα e la bella muscolatura (torace con i
muscoli pettorali, ventre con la ‘tartaruga’
e gambe con i muscoli dei polpacci pronunziati).
Ora facciamoci una semplice domanda: che
c’entra tutto ciò in un ‘codice’ funerario? Che significato ha una bella statuina ‘apollinea’ e da atleta con tutto il suo apparato decorativo
e, si direbbe, solo decorativo? Solo decorativo perché, se non ci fosse la patna a rendere il manifesto simbolismo
del ‘libare’, ovvero il riferimento ad un atto sacro rituale (che non è però solo
del codice funerario), tutto il resto rimarrebbe interpretato con la sola
categoria estetica del bello e/o quella sociale del prestigioso e il bronzetto
(così come tantissimi oggetti etruschi) per senso funerario rimarrebbe, in
tutta evidenza, per così dire, alquanto ‘sbilanciato’. Infatti, la funzione particolare
e il collocamento dell’oggetto (la statuina
fu rinvenuta, insieme ad altre tredici, all'interno di un pozzetto votivo di un
santuario etrusco all'aperto) richiederebbe
un linguaggio specifico ‘religioso’ dell’oggetto stesso e, direi, una
prevalenza di questo su tutto il resto di senso. E’ l’obbiezione che si può (e
si deve) fare, non solo per questo bronzetto ma per tutta l’iconografia etrusca
relativa alla morte e agli espedienti posti sempre in essere per esorcizzarla. Perché
se è vero che in ambiente funerario conta certamente il bello ed il prestigioso
socialmente, aspetti quasi sempre (6) manifesti, conta però soprattutto il simbolismo con il senso profondo e
quasi sempre nascosto che riguarda il trapasso e l’aldilà. Necropoli e cimiteri
da sempre - si sa - presentano, nelle tombe di persone di elevata
condizione sociale, questo duplice aspetto di senso.
Vediamo allora se, sulla scorta
di quanto si è scoperto e detto sui bronzetti sardi, sulla base di certe
convenzioni scrittorie, riusciamo a comprendere anche il secondo di senso. I
bronzetti della Sardegna, che precedono quelli dell’Etruria anche di sei o
sette secoli (7), ci hanno fatto capire che essi,
formati simbolicamente di materia eterna (il bronzo), deposti nelle tombe
accanto alle urne dei defunti, recano una certa formula relativa all’esito
della salvezza nel viaggio verso la luce per una nuova vita. La funzione di
essi come dimostrano il bronzetto (fig. 2) di Antas di Fluminimaggiore in Sardegna e quello ‘pantauros’ (fig.3) di
Cavalupo di Viterbo in Etruria (8) è quella di una protezione, di
un sostegno, di una forza (9) stabili o continui da parte della divinità (10) per superare le difficili prove che si oppongono alla rinascita o alla
continuità della luce (o vita che dir
si voglia).
Lettura del bronzetto
Una lettura ideogrammatica, procedendo in senso orario e circolare
dall’alto, sulla base del senso nascosto degli oggetti, delle decorazioni e dei
gesti che sono riportati ed anche enfatizzati (11) nella statuina, ci dà:
- corona = copertura, riparo, tutela
(dei capelli)
- decorazione a zig -zag = continuità
- cingulum = sostegno
- decorazione a serpente = continuità
- mano aperta (numero cinque) = potenza,
energia (12).
- l’iterazione delle pieghe = continuità
- il movimento delle gambe = procedere,
camminare
- la ‘patna’ (circonferenza +
centro) = cerchio
- La ripetizione dei punti
all’interno della patna = continuità
- il movimento del braccio con il sollevare,
il distendere e il curvare = tre = luce (13)
Notevole e subito evidente
appare il motivo decorativo ‘ossessivo’ che suggerisce di volta in volta la
‘continuità’ (della tutela, del sostegno, della potenza, del procedere,
del cerchio), sapientemente reso con
‘continua’ variatio (14).
‘Continuità’ che, anche da sola, è voce chiaramente allusiva e fortemente simbolica,
per non dire la più simbolica, di tutto il codice funerario.
Ora, se noi aggiungiamo alla serie
delle ‘continuità’ le voci ricavate per via ideogrammatica avremo:
- tutela continua
- sostegno continuo
- forza continua
- procedere continuo
- cerchio continuo luce
Procedendo dall’alto in senso
circolare orario per detta lettura e riunendo ordinatamente i significanti (in
sintassi) avremo:
Tutela continua, sostegno continuo, potenza continua,
procedere continuo, (del) cerchio continuo della luce.
Avremo un’espressione assai
significativa nascosta che allude alla divinità o, meglio, alle divinità (15) della luce, alle divinità che si manifestano con il cerchio (16) perenne luminoso. Senza l’aiuto di esse le probabilità di ‘farcela’ sono
poche e il rischio è che è il buio o la morte che prevalga e non una vita
futura. Quello che abbiamo ottenuto è quindi lo stesso messaggio nascosto,
ripetuto un’ infinità di volte nei bronzetti nuragici di cui quello di Antas e quello di Cavalupo sono solo degli esempi (17).
Il supporto. Lettura
ulteriore del bronzetto
Ma la lettura deve ritenersi
incompleta perché manca il segno più evidente che per noi, non più abituati a
calcolare e a trascurare di leggere il supporto, risulta del tutto assente. Non
era così per gli etruschi (e per i nuragici ancor prima). Il contenitore degli
altri segni va letto; anche perché, come si è detto più volte, spesso è
elemento ideografico cardine per capire tutta la scritta. Il bronzetto
dell’atleta, in quanto tale, porta con sé l’idea di ‘vigore’, cioè di forza
eccellente, di esuberanza fisica, non comune. L’artista che ha composto il
manufatto non ha messo in evidenza solo la bellezza singolare del giovane, il
‘kallos’ (κάλλος), ma anche e soprattutto il ‘kratos’(κράτος). Ragion per cui dobbiamo
preporre a tutta l’espressione la voce ‘vigore’:
Vigore della tutela continua, del sostegno continuo, della potenza
continua, del procedere continuo, del cerchio continuo della luce.
Una (apparente) seconda lettura
L’analisi e la conseguente lettura del bronzetto però non finiscono qui perché
il codice può prevedere spesso più letture, soprattutto se queste tendono a
rafforzare quella, diciamo così, di base. Letture di proposito ostiche nella loro
particolare scrittura ed indispensabili per rendere il più possibile efficiente
l’energia apotropaica. Perché questa non venga meno e abbia continuamente successo,
il system bisogna irrobustirlo, mischiarlo, confonderlo (18), per rendere non scardinabile
il senso nascosto; senso che però, come
per tutti i rebus, deve risultare alla fine del tutto logico pena l’inutilità
della scrittura (stavamo per dire la serratura)
ovvero del ‘chiaro’, anche se segreto, messaggio per la divinità.
Abbiamo già osservato, parlando
dei sarcofaghi etruschi e cercando di ricavare il molto di senso in essi
riposto, che le voci che sono rappresentate nella scrittura ideogrammatica
iniziano tutte per la lettera ‘C’/K. Dato questo che potrebbe sembrare
irrilevante se noi non sapessimo che detta lettera è il tre della serie della numerazione cardinale etrusca; lettera sacra perché, come si è visto,
simboleggia il ritmo ternario della luce.
CI è eguale a tre e tre equivale a luce. Si tenga presente in ciò che è la convenzione della scrittura
attuata attraverso i numeri che consente di dare ad essi valore logografico e
non solo numerico (19).
Ma oltre alle convenzioni dell’ideografia e della numerologia c’è ancora un’altra
convenzione del metagrafico, una terza
che consente di ‘sfruttare’ attraverso l’acrofonia, le consonanti iniziali (e
solo queste) delle voci presenti nel manufatto
che, come si è detto iniziano tutte per ‘C’ (v. più avanti tabella con
l’elenco). Detta acrofonia permette di avere, ripetuto, un numero notevole di
volte, C/CI in etrusco che è tre e
quindi ideogramma della luce. In questo modo, senza che nessuno se ne avveda la
statuina risulta cosparsa continuativamente
della parola luce (20). L’esito fonetico della lettura dell’artificio scrittorio, ottenuto con
tanti segni, non può essere se non ‘continuità della luce’.
- Corona
- Continuum
- Cingulum
- Continuum
- C/K/Cuincue (20)
- Continuum
- Kάλυμμα (coopertus)
- Complicatum (Kάλυμμα)
- Cirratum
- Cedere (cedens)
- Centrum (κέντρον)
- Circulus (Kύκλος)
- Continuum
- Kάλλος σώμματος
- κράτος σώμματος
A queste ‘C’ acrofoniche
vanno aggiunti naturalmente quello del tre
del sollevare, distendere, curvare e i
due tre decorativi con linea sinuosa
insistenti nel kάλυμμα
Se dovessimo riportare visivamente ancora con la grafica, come si è fatto
per un altro manufatto etrusco (21) tutta la serie dei tre (‘C’) presenti nel bronzetto, l’esito sarebbe
questo:
Ovviamente saremmo portati a
ritenerla una seconda lettura se non scorgessimo una chiara anomalia nella
interpretazione complessiva che abbiamo dato della ‘scrittura’ del bronzetto.
Infatti, si nota che alla fine di essa il risultato ci ha dato solo …luce , senza l’aggettivo ‘continuo’
che costantemente precede o segue i sostantivi (vigore,
protezione, sostegno, ecc.). Il motivo si spiega con quella che potrebbe
considerarsi una seconda lettura ma che non lo è in quanto ‘il luce continua’
si somma alla fine al resto della frase completandola e illuminandola maggiormente. Sono due e non
solo una le ‘luci continue’ che aiutano
il defunto a superare la prova e a rinascere. Il ‘cerchio continuo’ (la patna) allude alle due fonti luminose
divine del sole e della luna o, se si vuole, di Tin e di Uni, coppia che
incessantemente crea e ricrea la vita nel mondo. Pertanto la lettura definitiva
della scritta metagrafica del bronzetto dell’atleta ci sembra essere questa:
Vigore
della tutela continua, del sostegno
continuo, della potenza continua, del procedere continuo, del cerchio continuo
della doppia luce continua.
Conclusioni
Il bronzetto dunque, esaminato e
interpretato con lettura metagrafica, si
svela per essere un oggetto molto più carico di significato di quanto possa
sembrare con la sola ‘lettura’ estetico - decorativa - simbolica. Non è un ex voto per ‘grazia
ricevuta’ ma è una ‘petitio (22), un ‘omen secundum’, ovvero un augurio per l’ottenimento del buon esito
da parte del defunto per il viaggio nell’aldilà, nel regno della luce. Ma una
‘petitio’ manifesta per chiarezza di segni, per la mentalità degli antichi
informata alla ‘religio’ (scrupolo superstizioso), non potrà che risolversi se
non con un fallimento se essa non sarà stata tutelata il più possibile. Se
qualcuno ‘invidiosus’ (il ‘malus’ della famosa quinta lirica catulliana della
felicità dei baci) potrà entrare nel ‘meccanismo’ (il bronzetto si configura proprio
come una μηχανή) e ‘leggere’ con facilità il messaggio nascosto. lo sforzo di
garanzia sarà stato inutile. Infatti, leggere
vuol dire disturbare, creare ‘ombra’, rendere negativo e annichilire il
positivo. E se utili sono i talismani che difendono le persone in vita tanto
più utili sono quelli che proteggono la persona nel momento più difficile e
drammatico dell’esistenza, cioè quello del trapasso, con tutte le difficoltà e
le incertezze di ‘potercela fare’. Il manufatto dell’atleta di Grizzana di
Bologna costituisce dunque un altro
esempio della consonanza di ‘religio’, una prova ulteriore della differenza
formale ma non di contenuto dei ‘bronzetti’ scritti e della Sardegna e
dell’Etruria.
* Dedicato cioè a chi, con un lavoro impressionante
per vastità di ricerca, molto e non poco
ha capito della cultura, soprattutto spirituale (il codice funerario),
dell’Etruria e dei rapporti strettissimi intercorrenti tra due popoli (forse uno solo) figli del Tirreno.
Note e riferimenti bibliografici
1.v. ultimamente
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/06/una-stele-con-un-uccello-pesce-in-su.html
2. V. Jcq Ch., 1995, Il segreto dei geroglifici. Come entrare nel magico mondo degli antichi egizi, PIEMMe ed. Casale Monferrato, pp.15 -18.
3. Il cosiddetto ‘decorativo’ è il velo, bello ma fallace, che nasconde la scrittura metagrafica. Questo bronzetto lo mostra forse più di tanti altri. Naturalmente il decorativo depistante è il piano sul quale di più gioca lo scriba artigiano che fa di tutto perché attiri la ‘normale’ attenzione dell’osservatore. Sono solo alcuni dettagli (che nulla hanno a che fare con l’intento decorativo) che non poche volte tradiscono lo scultore. Si veda in questo bronzetto la ‘mano sinistra’ ben aperta in un gesto che suggerisce la sua importanza sul piano ideografico.
4. O un serpente vero e proprio? Non so. Ma fa lo stesso perché il senso è lo stesso.
5. V. il nostro post http://maimoniblog.blogspot.com/2017/05/scrittura-etrusca-solleva-distende.html
6. Si pensi invece allo stridente contrasto tra le tombe e i simboli ‘spartani’ dei Giganti ( i nobilissimi) di Monte ‘e Prama e quelli dell’Etruria. Due mondi con espressioni religiose pressochè identiche e così lontani invece per espressione estetica. Da una parte solo simbologie (collane, pezzetti di bronzo, perline, scarabei di steatite invetriata, ecc.) dall’altra simbologie dello stesso credo ma raccontate con il massimo dello sfarzo iconografico. Si potrebbe dire severità assoluta, povertà francescano -talebana contro la ricchezza più sfacciata faraonica.
7. Una volta la tendenza era quella ‘ribassista’ di collocare i bronzetti all’ VIII - VII secolo a.C. Oggi con le nuove acquisizioni di scavo la tendenza è quella di allargare la forbice cronologica verso l’alto e portare la piccola statuaria bronzea dei nuragici anche oltre il X - XI secolo a.C.
8. V. il nostro http://maimoniblog.blogspot.com/2018/02/un-gigante-sardo-pellita-pantauros.html
9. L’ossatura del rebus sta nelle voci che riguardano l’aiuto (da parte del dio) per la continuità dell’esistenza sia in vita che dopo la morte: tutela, difesa, protezione, sostegno, forza, sicurezza, ecc.. Queste vengono variate per quantità e collocazione sia nel metagrafico etrusco sia in quello nuragico. Nel nostro bronzetto che qui si commenta le voci sono tre: tutela, sostegno, forza. Ad esse per motivi di ‘logica’ (cioè di effettiva efficacia dell’aiuto e del soccorso che non deve essere temporaneo) si aggiunge non solo in nuragico (l’onda corrente della barchetta di Teti) ma anche in etrusco la ‘decorazione’ apparente che ha significato ideografico di ‘continuo’. V. più avanti.
10. Per i nuragici è yh (o yhh, yhw, yhwh) per gli Etruschi TIN/UNI. Divinità entrambe androgine con manifestazioni luminose soli - lunari.
11. La ‘gestualità’ è quella che ci permette di capire, grazie alla ‘ sinistra tesa’ e al numero ‘cinque’, la ‘forza’; con la patna che l’atleta solleva, distende e curva ci consente di comprendere l’ideogramma della luce (il ciclico movimento ternario del sole e della luna).
12. E’ questo, con ogni probabilità, un ‘segno’ mutuato dal nuragico semitico, cioè dal logogramma kaph (mano, forza, potenza) . E’ quel segno (non compreso purtroppo nel suo valore (logografico e non acrofonico lineare) che troviamo (v. fig. seg.) nello spillone di ‘Antas’ di Fluminimaggiore dove compare scritto ‘ Sostegno (spillone) della forza di Gayni’. Gayny ricordiamolo per comodità ancora una volta è un ‘santo’ nuragico e non cristiano (San Gavino).
2. V. Jcq Ch., 1995, Il segreto dei geroglifici. Come entrare nel magico mondo degli antichi egizi, PIEMMe ed. Casale Monferrato, pp.15 -18.
3. Il cosiddetto ‘decorativo’ è il velo, bello ma fallace, che nasconde la scrittura metagrafica. Questo bronzetto lo mostra forse più di tanti altri. Naturalmente il decorativo depistante è il piano sul quale di più gioca lo scriba artigiano che fa di tutto perché attiri la ‘normale’ attenzione dell’osservatore. Sono solo alcuni dettagli (che nulla hanno a che fare con l’intento decorativo) che non poche volte tradiscono lo scultore. Si veda in questo bronzetto la ‘mano sinistra’ ben aperta in un gesto che suggerisce la sua importanza sul piano ideografico.
4. O un serpente vero e proprio? Non so. Ma fa lo stesso perché il senso è lo stesso.
5. V. il nostro post http://maimoniblog.blogspot.com/2017/05/scrittura-etrusca-solleva-distende.html
6. Si pensi invece allo stridente contrasto tra le tombe e i simboli ‘spartani’ dei Giganti ( i nobilissimi) di Monte ‘e Prama e quelli dell’Etruria. Due mondi con espressioni religiose pressochè identiche e così lontani invece per espressione estetica. Da una parte solo simbologie (collane, pezzetti di bronzo, perline, scarabei di steatite invetriata, ecc.) dall’altra simbologie dello stesso credo ma raccontate con il massimo dello sfarzo iconografico. Si potrebbe dire severità assoluta, povertà francescano -talebana contro la ricchezza più sfacciata faraonica.
7. Una volta la tendenza era quella ‘ribassista’ di collocare i bronzetti all’ VIII - VII secolo a.C. Oggi con le nuove acquisizioni di scavo la tendenza è quella di allargare la forbice cronologica verso l’alto e portare la piccola statuaria bronzea dei nuragici anche oltre il X - XI secolo a.C.
8. V. il nostro http://maimoniblog.blogspot.com/2018/02/un-gigante-sardo-pellita-pantauros.html
9. L’ossatura del rebus sta nelle voci che riguardano l’aiuto (da parte del dio) per la continuità dell’esistenza sia in vita che dopo la morte: tutela, difesa, protezione, sostegno, forza, sicurezza, ecc.. Queste vengono variate per quantità e collocazione sia nel metagrafico etrusco sia in quello nuragico. Nel nostro bronzetto che qui si commenta le voci sono tre: tutela, sostegno, forza. Ad esse per motivi di ‘logica’ (cioè di effettiva efficacia dell’aiuto e del soccorso che non deve essere temporaneo) si aggiunge non solo in nuragico (l’onda corrente della barchetta di Teti) ma anche in etrusco la ‘decorazione’ apparente che ha significato ideografico di ‘continuo’. V. più avanti.
10. Per i nuragici è yh (o yhh, yhw, yhwh) per gli Etruschi TIN/UNI. Divinità entrambe androgine con manifestazioni luminose soli - lunari.
11. La ‘gestualità’ è quella che ci permette di capire, grazie alla ‘ sinistra tesa’ e al numero ‘cinque’, la ‘forza’; con la patna che l’atleta solleva, distende e curva ci consente di comprendere l’ideogramma della luce (il ciclico movimento ternario del sole e della luna).
12. E’ questo, con ogni probabilità, un ‘segno’ mutuato dal nuragico semitico, cioè dal logogramma kaph (mano, forza, potenza) . E’ quel segno (non compreso purtroppo nel suo valore (logografico e non acrofonico lineare) che troviamo (v. fig. seg.) nello spillone di ‘Antas’ di Fluminimaggiore dove compare scritto ‘ Sostegno (spillone) della forza di Gayni’. Gayny ricordiamolo per comodità ancora una volta è un ‘santo’ nuragico e non cristiano (San Gavino).
13. Detto valore del tre (presente in un numero impressionante di volte sia in nuragico che in etrusco) di natura astronomica, è emerso sempre di più in un confronto sempre più serrato tra i documenti etruschi e quelli sardi. Inizialmente si pensava (v. Sanna G., 2019, I Geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. cap. 5, p. 121) che per convenzione notasse la ‘divinità’ o la ‘perfezione’ secondo l’idea che si è fatta strada, da tanto tempo, del ‘triangolo’ dal punto di vista simbologico.
14. Sulla ‘variatio’ compositiva dei nuragici v. Sanna G., 2016, I Geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc. cit. cap. 6. pp.135 - 143.
15. Le divinità sono Tin (sole) e Uni (luna), rappresentate numerologicamente dal sei o da due tre per via del loro ritmo circolare ternario continuo. La doppia luce o il doppio cerchio alludono sempre nella scrittura metagrafica etrusca alle due potenze luminose.16. Il cerchio è il segno più comune ed il simbolo più adoperato nel codice funerario etrusco. Si trova particolarmente come patna (patera) sia nei coperchi sia nelle casse delle urne sarcofago cinerarie nonché nei bronzetti come questo che andiamo illustrando. Stessa simbologia, sia pur leggermente variata (non una patna ma un piatto) si trova nei numerosissimi piattelli tipo ‘Genucilia’ diffusi un po’ dappertutto (anche al di fuori dell’Etruria) nel IV e III secolo a.C. 17. Nel corso dei prossimi mesi contiamo di illustrare diversi bronzetti nuragici di varie tipologie che presentano la formula della ‘petitio’ (protezione, sostegno, forza, sicurezza, ecc.) circa la buona sorte in vita e post mortem da ottenersi per ausilio della divinità.
18. Il ‘confondere’, il ‘depistare’, lo’ingannare’ il più possibile è manifestazione di rebus ben congegnati . Ancora oggi i rebus dei periodici di enigmistica sono apprezzati per gli stessi motivi. In questo erano maestri gli egiziani che ci hanno tramandato, sparsi un po’ dovunque (nelle tombe, negli oggetti ornamentali, nella stessa scrittura dei geroglifici) degli ‘ indovinelli’ non di rado di difficilissima soluzione. Alcuni, ancora oggi, affatto risolti.19. V. http://maimoniblog.blogspot.com/2017/10/amuleto-aureo-etrusco-da-bolsena-in.html20. Gli Etruschi non sempre facevano distinzione circa la scrittura delle tre consonanti C/K/Q. La ‘C’ finì per prevalere sulle altre due (v. Pittau M., 1997, La lingua etrusca. Grammatica e lessico. INSULA, Nuoro, p. 48).
L'interpretazione del bronzetto Etrusco mi ricorda l'Apollo trattato nel Suo libro “I segni del Lossia cacciatore”, un bel “mattone” da leggere se non si mastica il greco antico. Ciononostante lo lessi alcuni anni fa e rimasi sorpreso prima e affascinato dopo, dalla lettura metagrafica della statuina.
RispondiEliminaSì il collegamento c'è. Il dato acrofonico è quello che più spicca nell'Apollino di Glozel (quello che rende l'espressione di invocazione 'O LOXIA'. Ma anche il mix segni lineari e segni ideografici è di notevole importanza. Ciò significa che la 'spinta' egiziana circa la scrittura ideografica ci fu in tutto il Mediterraneo. Nel fenomeno furono interessate le attività sacerdotali - scribali dei templi di allora ( Creta, Cipro, Delfi, Sardegna e, forse, la Sicilia). Ci vorrebbe un'indagine a tutto campo su un certo tipo di scrittura che man mano perse di vigore e che scomparve forse a motivo della impenetrabilità e della segretezza del codice convenzionale. Mi chiedo però: perché né i Greci né i Romani parlano mai di esso? La Magna Grecia, come dimostra la cosiddetta 'Tomba del tuffatore' di Paestum, non è possibile che non conoscesse la scrittura metagrafica. Ma ne riparleremo. E speriamo presto.
RispondiEliminaE' probabile che la lettura metagrafica abbia seguito lo stesso percorso (destino) della scrittura geroglifica egiziana che fu dimenticata; e fu necessario un “traduttore” (la stele di Rosetta) per comprenderla. Oppure lo stesso destino della lingua e scrittura ebraica che fu letteralmente riesumata, tanto che oggi non si conosce la vocalizzazione esatta dei termini in origine.
RispondiEliminaAlla luce di questi esempi, quale possibilità abbiamo di far entrare nel “giudizio” dell'Accademia la scrittura metagrafica?! Non ci sono stele di Rosetta per questa scrittura (almeno penso); esistono però quelle che si chiamano "connessioni cerebrali" che supportate dallo studio sistematico del problema, dei reperti e del sentimento che emana a tutto campo tutta la cultura Etrusca, possono aiutarci a rendere evidente questa lettura agli occhi di “tutti”. Di questo ne sono convinto perché studiando a tutto campo la civiltà Nuragica (bene inteso che quando dico “a tutto campo”, non sono tanto presuntuoso da pensare di saper tutto (anzi!), ma che mi occupo del problema secondo diverse discipline), penso di aver aperto un varco, benché in maniera superficiale, nel comprendere i sentimenti di quelle antiche genti e il loro grado di cultura tecnica. Ma di questo parleremo diffusamente quando pubblicherò, finalmente, il saggio sulla ricostruzione del pozzo di Santa Cristina.
La crittografia, in quanto tale, non può godere di una 'Stele di Rosetta'. I rebus etruschi (egiziani, sardi, delfici che siano)si capiscono a posteriori a causa della loro logicità e della ripetitività dei significanti in 'variatio'. La voce 'continuo' ad es. si capisce perché c'è la segnica che la suggerisce in modi diversi per 'forma' (immagine) ma uguali per significato. Tutti pensano che un alberello con rami ricchi di foglie (o di frutti) sia un motivo decorativo. Vengono ingannati dall'apparenza perché in esso c'è la voce 'vigore' (l'alberello)e nello stesso tempo la voce ' continuo'. Se ad esso segue la danza di due ballerini che ballano con un certo ritmo bisognerà cercare di capire, nella sintassi e in una lettura organica per direzione, come si collega per senso il 'continuo vigore'. Quel 'continuo vigore' che poi non ti deve restare inerte dato il contesto funerario dove c'è un defunto che spera sulla rinascita e su di una vita 'continua' . Piano piano così avanzi comprendendo il rebus e impossessandoti della chiave o delle chiavi per intenderlo completamente. Mettendo in conto la fantasia degli scribi 'enigmistici' riesci così a capire che non solo una palma da dattero ma anche una fontana possono essere ideogrammi di 'continuo'. In questo bronzetto di Grizzana ho cercato di far capire quante volte ricorre l'ideogramma 'continuo' con diversi significanti. zig -zag, serpente, pieghe della veste (calumma), unda currens, ecc. Se poi qualcuno dubita che in tutti quei momenti non ci sia quella voce e che non ci siano le altre voci ideogrammatiche che la acconpagnano è meglio non insistere. Se non vedono non vedono. Mi ricordano sempre il piccolo rebus del Bes criptato di San Gavino. Un proprietario terriero che l'aveva trovato e pubblicato non ci vedeva nulla per quanto lo avesse osservato ed esaminato numerose volte. Neanche quando mi recai da lui per farglielo notare riuscì a comprenderlo per quanto mi sforzassi. Per fortuna passò accanto a noi un suo mezzadro che dopo aver sentito le mie parole non pensò due volte a sedersi per terra e a stringere vigorosamente con le braccia un vaso che ci stava accanto. Mimava così il soggetto del Bes che stritolava il serpente. Solo così il suo datore di lavoro capì. E come sempre, quando si scioglie un rebus difficile, fece un sorriso tondo tondo. Dandosi quasi del cretino per non averlo capito.
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